IT-CPA-SP00001-0000081

Azienda casa Emilia Romagna della Provincia di Bologna - ACER

(ente pubblico territoriale e sue articolazioni)

6 gennaio 1906 -

Premessa

Gli Istituti autonomi per le case popolari hanno avuto avvio con la prima legge promulgata in Italia, per iniziativa dell'onorevole, poi senatore, Luigi Luzzatti, per facilitare la costruzione di case popolari (n. 254, promulgata il 31 maggio 1903). Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del secolo XX, diffuse in Italia forme nuove di intervento dello Stato a beneficio dei ceti meno (…)

Identificazione

Identificativo scheda IT-CPA-SP00001-0000081
Tipologia ente
Qualifica

ente pubblico territoriale e sue articolazioni

Denominazioni

Azienda casa Emilia Romagna della Provincia di Bologna - ACER (date d’uso della denominazione: 1998 -)

Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Bologna (date d’uso della denominazione: 1944 - 1998)

Istituto fascista autonomo per le case popolari della provincia di Bologna (date d’uso della denominazione: 1937 - 1944)

Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Bologna (date d’uso della denominazione: 1934 - 1937)

Istituto autonomo per la costruzione di case popolari di Bologna (date d’uso della denominazione: 6 gennaio 1906 - 1934)

Date di esistenza 6 gennaio 1906 -

Descrizione

Storia
Premessa

Gli Istituti autonomi per le case popolari hanno avuto avvio con la prima legge promulgata in Italia, per iniziativa dell'onorevole, poi senatore, Luigi Luzzatti, per facilitare la costruzione di case popolari (n. 254, promulgata il 31 maggio 1903). Il provvedimento si inseriva nel quadro di una politica sociale che, al principio del secolo XX, diffuse in Italia forme nuove di intervento dello Stato a beneficio dei ceti meno abbienti, senza trascurarne l'effetto indotto sia su scala più propriamente igienica, sia a livello sociale come fattore di sviluppo economico. Dalla lettura dell'articolo 22 della legge, che improntava l'iniziativa degli Istituti autonomi non ad un interesse prettamente economico, ma ad una precisa volontà di intervenire nel sistema sociale, emerge chiaramente lo spirito di solidarietà e di rinnovamento urbanistico che animava la legge. Inizialmente l'intervento pubblico in materia di edilizia residenziale operò attraverso le strutture esistenti, individuate essenzialmente in Comuni e cooperative: successivamente, con la separazione dei compiti delle aziende municipalizzate da quelli attinenti l'edilizia popolare, gli Istituti - così come specificati nel Testo Unico (Tu) n. 1165 del 1938 - ne diventarono i protagonisti.

Periodo liberale (1906-1914)

Le origini dell'Istituto autonomo per la costruzione di case popolari in Bologna - il quinto in Italia - risalgono al 1906 a seguito dell'attuazione della legge Luzzatti. Le competenze dell'Istituto erano ristrette originariamente al solo ambito comunale e i legami con l'Amministrazione cittadina furono sempre strettissimi in merito alle scelte e agli indirizzi attuativi di progettazione e realizzazione degli insediamenti abitativi.
L'Istituto bolognese nasceva senza una struttura, un organico e neppure una sede propri, di cui si doterà solo diversi anni dopo, essendo ospitata nei locali del Comune, forte della collaborazione dell'amministrazione comunale e di una dote significativa rappresentata dalla concessione gratuita di aree edificabili e dalla concessione di crediti da parte della Cassa di Risparmio di Bologna.
Il Consiglio comunale diede così vita, con una propria delibera del 31 gennaio 1906, all'Istituto autonomo per la costruzione di case popolari, dal momento che la legge autorizzava i comuni "ad intraprendere la costruzione di case popolari soltanto per darle a pigione" e qualora "sia riconosciuto il bisogno di provvedere alloggi per le classi meno abbienti, ed ove manchino le società indicate, o ne sia insufficiente l'azione" nota 1:S. Ramazza, L'attività dell'Istituto autonomo case popolari di Bologna dal 1906 al 1940, in "Per Bologna novant'anni di attività dell'Istituto autonomo case popolari 1906-1996", Bologna, 1996, p. 41..
Fin dalla nascita dell'Istituto l'obiettivo primario dell'offerta di alloggi salubri ed economicamente accessibili ai ceti più deboli si intrecciò strettamente e per molti anni con l'esigenza del Comune di Bologna di attuare gli sventramenti dei vecchi borghi del centro cittadino previsti dal Piano regolatore generale (Prg) del 1899 e, quindi, di dare sbocco alle conseguenti esigenze di mobilità creando un inurbamento ordinato nelle zone di espansione della città. Il nesso tra funzioni sociali ed obiettivi urbanistici rappresentò dunque il riferimento dell'azione dell'Istituto, un nesso che via via negli anni si venne ad offuscare.
I primi insediamenti abitativi sorsero e furono realizzati fin dal 1908 in zona Bolognina, a soli due anni dall'istituzione dell'Istituto. Nel periodo in questione furono realizzate costruzioni nell'area fuori porta Galliera (la Bolognina), all'area ex Lunetta Pizzardi cioè nella zona di via Mazzini all'altezza della chiesa di Santa Maria degli Alemanni, fuori Porta San Donato. Dopo il 1912 si iniziarono gli interventi edilizi nel nuovo quartiere Libia, fuori Porta San Vitale, in zona Arcoveggio e San Niccolò di Villola fra Sant'Egidio e San Donnino. Qualità e quantità delle realizzazioni abitative del periodo iniziale dell'Istituto furono tali che l'Istituto fu invitato a partecipare e poi essere premiato all'Esposizione internazionale di Torino del 1911.
Accanto alla realizzazione e all'assegnazione delle abitazioni è soprattutto da sottolineare la politica e gli interventi di natura sociale, pedagogica e morale che l'Istituto insieme al Comune promosse: i nuclei residenziali furono dotati di servizi aggiuntivi quali asili, scuole di economia domestica, dopo-scuola, bagni, ambulatori; non solo, furono attuati anche interventi di impulso prettamente morale con proiezioni di filmati didattici, cicli di lezioni e corsi, nonché un'intensa propaganda per combattere il colera e l'alcolismo e per favorire norme basilari igienico-sanitarie.

Periodo post-liberale, prima guerra mondiale e la ripresa edilizia (1914-1923)

A settembre del 1914 venne nominato il nuovo Consiglio di amministrazione dell'Istituto in seguito al cambiamento politico-amministrativo del Comune di Bologna. Esso risultò così composto: presidente Francesco Zanardi, vice presidente Giulio Marcovigi, segretario Augusto Negri, vice segretario Luigi Rocchi. Con il nuovo Consiglio di amministrazione dell'Istituto venne creata anche una apposita "Commissione speciale per gli affitti" e nel 1915 si cominciarono ad individuare nuove aree per le case da edificarsi come ai Prati di Caprara fuori l'ex Porta Saffi.
Durante la prima guerra mondiale l'attività dell'Istituto subì una battuta d'arresto dovuta alla contingenza dei tempi: non solo il costo delle materie prime risultò lievitare enormemente, ma molti familiari furono richiamati alle armi e risultando periti sul fronte ci furono da affrontare da parte dell'Istituto notevoli problemi burocratici e legislativi per la successione nei contratti di affitto ad altri familiari del nucleo assegnatario dell'alloggio, soprattutto perché le donne (vedove) risultavano non ancora in grado a livello legislativo di procedere agli adempimenti dovuti per ottenere la riassegnazione dell'abitazione. A questo problema si aggiunse quello della sovrappopolazione degli appartamenti a causa dei profughi provenienti dalle zone di guerra e molto spesso le case, i cortili comuni e gli orti-operai furono utilizzati per la tenuta di animali da cortile, con possibili cause di diffusione di malattie infettive.
Da parte dell'Istituto comunque non mancò lo spirito di ricerca di mezzi finanziari per assicurare, a guerra finita, la ripresa dell'attività costruttiva, sebbene fin dal 1915 fosse chiara l'impossibilità di ottenere, nel breve periodo, finanziamenti dagli istituti di credito cittadini. Per tali ragioni si provò a coinvolgere le Opere pie nell'attività dell'Istituto, tentativo che era già stato proposto nel 1909 contemplando anche il Monte di Pietà, il Monte del Matrimonio e gli Ospedali.
Soltanto nel 1918 furono riprese le costruzioni anche se in maniera non adeguata e sufficiente ad accogliere i profughi delle zone coinvolte nel conflitto della prima guerra mondiale ed in seguito al crescente fenomeno dell'inurbamento. Si vennero così a delineare in questo periodo interi complessi edilizi in zone specifiche della città, la Bolognina, mentre altre zone di forte concentrazione di case economiche e popolari, poi anche "popolarissime", che vennero a costituirsi furono quelle fuori via San Vitale e nell'area di Porta Lame, San Donato e Mascarella. Le richieste e le esigenze furono tali che si progettò di estendere l'iniziativa a tutte le zone della città fuori Porta Saragozza, Porta d'Azeglio, Porta Castiglione, Porta S. Stefano.
Nel 1923, dopo le nuove elezioni amministrative comunali, il consiglio di amministrazione dell'Istituto deliberò di dare le proprie dimissioni affinché il sindaco potesse procedere alla nomina dei nuovi componenti.

La gestione di Leandro Arpinati e le case a riscatto dell'Istituto (1923-1932)

Con l'avvento del Fascismo la sfera di influenza dell'Istituto passò dal solo ambito comunale a quello dell'intero territorio provinciale ma anche la politica abitativa dell'Istituto fu improntata differentemente rispetto al passato a partire proprio dalla composizione del nuovo Consiglio di amministrazione: Leandro Arpinati presidente, Angelo Cacciari vice presidente, Umberto Sardini segretario, Giovanni Bonaveri, Enrico Brunetti, Cesare Righini, Giuseppe Landini e Ildebrando Tabarroni consiglieri.
I primi interventi del nuovo consiglio furono rivolti al riassetto organizzativo interno con la revisione dei vari regolamenti interni ma degna di rilievo fu la costituzione di una speciale Commissione tecnica in seguito all'abolizione dei Comitati provinciali per le case popolari che avevano "il compito di favorire l'incremento dell'edilizia popolare, con promuovere la costituzione di società ad hoc, ma sorvegliando anche sulla esatta esecuzione dei progetti posti in essere allo scopo, la cui preventiva approvazione era e rimaneva loro demandata e riservata [...]"; in particolare alla nuova Commissione tecnica erano "affidati l'esame e l'approvazione dei progetti per erigende case popolari od economiche a cura di cooperative edilizie nota 2:Cfr. il volume conservato presso l'Archivio storico dell'Istituto, "Atti del Consiglio di amministrazione. Anno 1923", pp. 114-116..
Sotto la presidenza Arpinati, l'Istituto adottò un cambio di direzione della politica abitativa più vicina agli ideali e ai precetti della politica fascista: mediante la realizzazione non solo di case economiche e popolari ma anche di abitazioni a riscatto per le case degli impiegati e attraverso la creazione di un "villaggio fascista per i reduci e le vedove dei combattenti della prima guerra mondiale" in zona Andrea Costa. Altro obiettivo di Arpinati fu quello di accentrare nell'Istituto tutte le iniziative e i finanziamenti per l'edilizia pubblica che stavano maturando. Nel dicembre 1924 l'Istituto richiese al prefetto di Bologna di intercedere presso il Ministero competente per l'affidamento dell'amministrazione dei finanziamenti per la costruzione di case per gli impiegati statali, evitando così una amministrazione provinciale dell'Istituto nazionale per le case degli impiegati statali (Incis).
Nella seduta del 17 gennaio 1927 Leandro Arpinati rassegnò le proprie dimissioni da presidente dell'Istituto, insieme a tutto il consiglio di amministrazione, sostituito da Ildebrando Tabarroni, la cui figurava assicurava comunque una continuità con la precedente politica edilizia dell'Istituto.
L'Istituto, dopo il 1927, si impegnò esclusivamente nella costruzione di alloggi assegnati con patto di futura vendita, con affitti e tipologie non popolari. Portato a termine il programma per la costruzione delle case a riscatto, l'Istituto si propose la costruzione di alcuni fabbricati in via Principe Amedeo, l'attuale via Marconi, nella quale si rendevano disponibili i lotti di terreno di proprietà comunale in seguito a vaste demolizioni per l'apertura della nuova arteria cittadina che verrà denominata dal 1933, via Roma.

Angelo Manaresi podestà. Le case popolarissime per le famiglie indigenti e numerose. Il ruolo assistenziale dell'Istituto con la creazione dell'Azienda case popolarissime (1933-1937)

Nel febbraio del 1933 si prese atto da parte dell'Istituto dell'inchiesta prefettizia, richiesta dal governo centrale dato che erano "pervenute anche al Ministero lamentele sull'alto costo delle case di codesto Ente Autonomo, e sul trattamento eccezionalmente favorevole, che sarebbe fatto agli impiegati" nota 3:Cfr. il fascicolo conservato presso l'Archivio storico dell'Istituto denominato "Verbali vari consiglio. Ottobre 1929 - luglio 1933" (adunanza del 13 febbraio 1933).. A seguito dell'inchiesta si giunse nell'autunno dello stesso anno al commissariamento dell'Istituto e alla nomina di un nuovo consiglio di amministrazione che rimarrà in carica per due anni.
Nel 1933 venne nominato podestà di Bologna Angelo Manaresi che rappresentava, all'interno del partito fascista, la grande proprietà immobiliare di Bologna che aveva sempre visto con favore l'adozione di un nuovo Piano regolatore della città che consentisse l'edificazione di vaste aree ancora da urbanizzare. Non a caso con la nomina di Manaresi furono riproposti i progetti già avanzati nel 1925 di utilizzo dell'area a sud della città, ai piedi della collina di San Michele in Bosco occupata da caserme e stabilimenti militari, nonché altri studi per un piano regolatore della città. In questo modo l'obiettivo e i programmi originari dell'Istituto vennero completamente stravoti.
Il presidente Tabarroni, uomo di Arpinati in carica dal 1927, venne sostituito e con lui tutto il Consiglio di amministrazione; fu nominato presidente l'ingegnere Enrico Boriani che mise fine ai programmi di interventi di via Roma.
Manaresi, nel tracciare le linee del programma comunale per il 1934, affidò all'Istituto il compito di costruire case per accogliere le famiglie che ancora vivevano nel "Baraccato" e per quelle che abitavano gli alloggi comunali da demolire per la realizzazione del Prg nel centro cittadino. Continuò anche l'opera di costruzione di servizi accessori quali lavanderie, bagni, palestre, nidi d'infanzia nota 4:Dal 1934 i nidi d'infanzia vennero costruiti in varie zone urbane e sotto il diretto funzionamento dell'Opera nazionale per la protezione della maternità e dell'infanzia (Onmi)., zone verdi e zone riservate ai giochi per i bambini: le aree prescelte furono fuori Porta Lame in via Scipione dal Ferro, fuori Porta San Vitale, poi in via Pier Crescenzi e fuori Porta San Donato in via Vezza. Per l'occasione, nel 1934, fu costituita all'interno dell'Istituto la "Azienda case popolarissime", dotata di un proprio statuto e di un proprio bilancio, così da distinguerne la gestione. I lavori per la costruzione delle case "popolarissime" iniziarono nel luglio 1934 e si cominciò a pensare alla realizzazione di nuove case nelle zone di via Malvasia, via dello Scalo, via Casarini e all'edificazione del "Villaggio fascista" in zona Andrea Costa.
Successivamente alle dimissioni di Manaresi nel 1935 da podestà di Bologna, l'attività dell'Istituto ritornò ad essere quella svolta nel decennio precedente al 1933, con la costruzione di sole baracche e alloggi di fortuna per i senza tetto e con il continuo riutilizzo di alloggi acquistati dal Comune per essere demoliti a favore della realizzazione degli sventramenti nel centro cittadino.
Nel 1936 l'Istituto procedette a ratificare il nuovo ordinamento generale dei servizi e del personale e aderì al Consorzio nazionale fra gli istituti fascisti autonomi per le case popolari.

Uno strumento del regime. La dimensione provinciale fra villaggio fascista e case operaio-rurali (1937-1941)

Come accennato, nel 1937 l'Istituto divenne formalmente un ente operante sul territorio provinciale. Gli Istituti comunali annessi furono 5: quelli di Anzola dell'Emilia, Crevalcore, Molinella, San Giovanni in Persiceto e San Pietro in Casale. Erano inoltre 14 i Comuni della provincia con una propria gestione di alloggi popolari. I Comuni che già dal 1934 avevano chiesto la costruzione di case popolari erano 24, ma solo nel 1939 venne iniziata la costruzione di villaggi operaio-rurali. In totale furono costruiti 152 alloggi in 6 diversi comuni: Imola, Minerbio, Budrio, Crevalcore, Molinella, Pieve di Cento. Le casette operaio-rurali rispondevano alle direttive del Consorzio nazionale, utilizzando esclusivamente materiale autarchico e senza l'utilizzo del ferro. Tali edifici furono ultimati solo nel 1942.
Per quanto riguarda la città di Bologna nel 1937 presero avvio i lavori per la costruzione del "Villaggio fascista", per il quale l'Istituto non tenne conto né delle effettive esigenze della città, né delle possibilità economiche degli inquilini a cui quegli alloggi erano destinati. Nel 1939 vennero realizzate case fuori Porta San Vitale e fuori Porta Lame; nello stesso anno venne iniziata la costruzione di un villaggio di case operaio-rurali in località Corticella, tra la linea ferroviaria Bologna-Venezia e l'allora via Beverara, anche se l'assegnazione di queste case iniziò solo nel 1941 e terminò nel 1947.

Periodo della seconda guerra mondiale (1941-1945)

A pochi giorni dalla Liberazione, il doloroso inventario degli edifici colpiti dalle offese belliche lascia intravedere un ritratto di città sfigurato. Le tracce dei 51 bombardamenti che hanno bersagliato la città dal 16 luglio 1943 al 18 aprile 1945 disegnano un paesaggio urbano precario e desolato, disseminato di macerie, voragini e distruzioni di ogni sorta. A questo problema si era aggiunto dal 1944 quello dell'arrivo dei profughi e sfollati pari a circa 60.000 persone.
Come la città anche l'Istituto era stato duramente colpito dalla guerra, e il suo patrimonio edilizio radicalmente messo in gioco dai bombardamenti, che ne avevano ridimensionato drasticamente le dimensioni. Nel complesso, quasi il 90% degli edifici di proprietà dell'Istituto erano stati colpiti. Interi isolati, come quelli inseriti tra le vie Lame, Tanari e Inviti, o blocchi edilizi complessi e articolati come quelli di via Zampieri, Rimesse e Libia erano stati irrimediabilmente lesionati o sventrati. L'inventario dei danni metteva drammaticamente in chiaro la natura del dilemma che ci si trovava a fronteggiare: valutare tempestivamente la convenienza di un'opera di ripristino rispetto alla ricostruzione totale, ovvero considerare fino a che era possibile, sulla base delle scarse risorse disponibili, l'opera di riparazione dei vani lesionati.
La ricostruzione postbellica fino alla formazione dei piani regolatori comunali e al secondo piano casa Fanfani (1945-1956)

L'Istituzione di un Commissario governativo per gli alloggi contribuì a mantenere sotto controllo una situazione difficile dal punto di vista dell'ordine pubblico (in particolare i conflitti tra la popolazione e i profughi), ma solo nel 1948 si giunse all'approvazione di uno specifico piano di ricostruzione con l'indicazione delle zone destinate alla demolizione e alla ricostruzione e di quelle proposte per i servizi entro e fuori dal perimetro dell'area già urbanizzata. Quando nel 1948 la riparazione dei danni di guerra fu tale da concedere il primo assalto alle aree edificabili previste dal piano di ricostruzione, gli irrisolti problemi dell'abitazione e del riassetto del territorio erano oramai talmente incandescenti da imporre a livello nazionale provvedimenti urgenti che si volevano risolutivi. Tra questi giocò una parte determinante il piano Fanfani, inizialmente settennale e in seguito prorogato e ampliato a partire dal 1956, che diventò esecutivo nel febbraio del 1949, dando vita alla gestione INA-Casa, con l'intenzione di usare l'attività edilizia quale strumento per arginare la disoccupazione e facendo dell'intervento pubblico un sostegno per quello privato. L'esperienza del primo settennio della gestione INA-Casa fu senza dubbio il primo organico banco di prova per le buone intenzioni della più avanzata ricerca urbanistica del dopoguerra. I primi nuclei di servizi collettivi ovvero parrocchie, centri comunitari, asili, ecc., non avrebbero più dovuto essere puri accessori all'abitazione, bensì elementi generatori del nuovo tessuto urbano. Non a caso i due quartieri INA-Casa costruiti a Bologna con diffusa partecipazione dell'Istituto risultano collocati alle estremità occidentali e orientali della città e le loro caratteristiche aggregative richiamano l'idea del villaggio suburbano: si trattava degli insediamenti denominati "Borgo Panigale" e "Due Madonne".
La riedificazione degli edifici distrutti comportò quasi sempre un incremento volumetrico rispetto alla situazione dell'anteguerra con l'aggiunta di uno o due piani. La ricostruzione degli edifici lesionati procedette assieme alla costruzione di alloggi ex novo, eretti con analoghe soluzioni progettuali, tanto che nell'arco di pochi anni intere porzioni di città furono portati a termine, contribuendo a modellare un paesaggio dai tratti uniformi. Porzioni consistenti dei quartieri Lame (tra le vie Tanari e Pier Crescenzi) e Bolognina (soprattutto nel settore compreso tra le vie F. Bolognese e Carracci) vennero riedificate dalle fondamenta. Esaurito questo compito prioritario, a partire dal 1948 gli sforzi dell'Istituto si indirizzarono in misura massiccia verso la nuova edificazione, dando vita ad una serie di "quartieri" dotati di una propria autonomia che segneranno profondamente il territorio ai margini della città storica. Fra questi lungo la via San Donato, via del Lavoro e via Vezza, e sempre in zona, fra le vie Mondo e Torretta a partire dal 1954; nel 1955 nei pressi di via Toscana fra le vie Foscherara e Battaglia. Altri interventi nella prima metà degli anni '50 riguardarono le zone di via Libia, via Matteotti, via Irma Bandiera, via Murri, via Barbiano, via degli Scalini e infine di via Pasubio.

Dal secondo piano casa Fanfani alla trasformazione legislativa delle competenze degli Istituti Autonomi per le case popolari (1956-1971)

Il piano casa di Fanfani fu prorogato ed ampliato a partire dal 1956 dando vita alla gestione INA-Casa. Tre dei quartieri di edilizia sovvenzionata che si svilupparono allora a Bologna su aree previste allo scopo dal piano regolatore risultarono emblematici per il diverso modo di affrontare l'organizzazione spaziale dei nuclei di nuovo insediamento: i quartieri "San Donato - via Andreini"; il "Cavedone", la cui committenza fu INA-Casa e Incis; e infine la "Barca", intervento sostenuto nel suo complesso da parte di Iacp, INA-Casa, Incis e Unrra-Casas.
Non lontano dall'area edificata pochi anni prima dall'Istituto in via Foscherara, si svolse l'esperienza del quartiere "Cavedone" a ridosso di via Ortolani e che giunge fino al confine con il comune di San Lazzaro; tale esperienza, seppur incompiuta, esprime diffusamente i nuovi temi architettonici dibattuti da progettisti, committenti e amministratori e cerca di offrire una soluzione originale ai problemi posti dall'urbanizzazione.
Con altrettanta consapevolezza e aspirazione al rigore disciplinare, si mossero, all'altro capo della città, i progettisti che, su scala assai più ampia, dettero vita al quartiere "Barca" su di un'area che le previsioni di espansione riservavano ad un insediamento per 40.000 persone dotato di un autonomo centro direzionale. La grande dimensione dell'intervento richiese un collegamento funzionale di promotori diversi, raccolti sotto al coordinamento del Centro per l'edilizia popolare (Cep); tra questi l'Istituto avrebbe giocato un ruolo di spicco nella fase costruttiva dei lavori.
Mentre il quartiere "Barca" è in corso di realizzazione, altre aree della città appaiono significativamente interessate dalla politica edilizia dell'Istituto: l'edificazione dei lotti compresi fra l'orto botanico e via Mascarella, tra piazza di Porta San Felice, viale Silvani e l'odierna piazza della Resistenza e, infine, lungo le vie Ferrarese e Santo Stefano.
Per tutti gli anni Sessanta, i programmi edificatori dell'Istituto continuarono a riguardare la progettazione di interi quartieri di edilizia economica su aree periferiche acquistate allo scopo, come di fatto avvenne per gli insediamenti di "San Donnino" e del "Pilastro". La prima definizione di un insediamento autonomo sulle aree di proprietà dell'Istituto al "Pilastro" risale al 1958 e continuò con modificazioni fino alla metà degli anni Settanta.
Un cambio radicale o ribaltamento di tendenza rispetto alle politiche urbane adottate, di natura prettamente espansiva, si verificò in seguito all'adozione di strumenti operativi resi possibili sulla base della legge n. 865 del 1971 che sanciva la trasformazione degli Iacp da enti pubblici economici ad enti pubblici non economici.

Dalla collaborazione, progettazione e realizzazioni in comune alle "Norme per l'edilizia residenziale pubblica" (1971-1992)

Sul versante della politica edilizia, per questo periodo si ricordano gli interventi nel quartiere "Fossolo 2", in via dell'Arcobaleno e poi in località "Pescarola" e "Casteldebole". Alla fine degli anni Settanta in collaborazione con l'Università si costruì lo studentato di via Gandusio.
Ma è proprio in questo periodo che nasce la partecipazione dell'Istituto alla concreta attuazione del Piano per l'edilizia economico popolare (Peep) bolognese. L'attività concertata con altri enti pubblici, in primo luogo gli uffici municipali, si dimostra sempre efficace e feconda. Per tutto il decennio la collaborazione tra l'Istituto e il Comune di Bologna si intensifica e spesso raggiunge livelli di assoluta originalità nell'ambito dei programmi operativi adottati, come nel caso dell'attuazione del piano Peep-Centro storico, quando, per la prima volta, il problema del riuso delle strutture edilizie esistenti viene posto in alternativa alla creazione di quartieri di nuova costruzione e lo stesso Istituto partecipa, con un ruolo determinante, a una nuova stagione di interventi di segno opposto a quelli precedenti.
Entro cinque comparti urbanistici (Santa Caterina, Solferino, Fondazza, San Leonardo e San Carlo) ritenuti prioritari sui tredici che la variante generale del piano regolatore del 1969 aveva identificato come suscettibili di risanamento conservativo, venne redatto un piano Peep, poi adottato nel marzo del 1973. Oltre ai comparti di edilizia residenziale degradata, l'Istituto intervenne per il Comune anche in edifici specialistici, come nel complesso del Baraccano, all'Archiginnasio, a Casa Carducci, al Castellaccio, al Centro civico di vicolo Bolognetti.
Fin dai primi anni Settanta le proposte di riqualificazione urbana avanzate dal Comune di Bologna e condivise anche sul piano operativo dall'Istituto, non si limitarono infatti a sostenere il recupero di parti del nucleo urbano di più antica formazione, ma si indirizzarono anche verso aree ed edifici degradati che erano localizzati nella prima periferia. Grazie ai programmi avviati dalla legge n. 513 del 1977 ("Testo Unico e disposizioni generali sull'edilizia popolare ed economica. Provvedimenti urgenti per l'accelerazione dei programmi in corso, finanziamento di un programma straordinario e canone minimo dell'edilizia residenziale pubblica") e dalla legge n. 457 del 5 agosto 1978 (nota come "Piano decennale" per l'edilizia residenziale che modificò il sistema dei finanziamenti), fu possibile, per il Comune, dare concreta attuazione a una parte degli interventi previsti. Anche in questo caso, come già nell'esperienza del centro storico, l'Istituto svolse il ruolo di stazione appaltante e di alto sorvegliante dei lavori.
L'ambizione ad un controllo generalizzato della qualità dello spazio fisico ha sollecitato nuove riflessioni progettuali, costringendo a fare maggiore attenzione al contesto storico ambientale e a ripensare criticamente le preesistenze. È in questa prospettiva inedita che si muovono le proposte di ristrutturazione complessiva di parti consistenti del tessuto periferico cittadino a partire dalla metà degli anni Ottanta e in particolare il programma pluriennale di recupero proposto dall'Istituto nel 1988 che prende il nome di "Progetto nuove corti" e che interessa 12 comparti di proprietà dell'Ente e posti nei quartieri San Vitale, Navile e Porto.

Dall'Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Bologna all'Azienda case Emilia Romagna della provincia di Bologna (1992-2012)

La politica edilizia perseguita, insieme all'amministrazione comunale nel ventennio precede, procede anche dagli anni Novanta con il cosiddetto "Progetto Europa" fra via dell'Artigianato e via Beroaldo e la realizzazione del progetto "Disegno urbano concertato" (Duc) predisposto dall'Istituto su aree di sua proprietà nell'area dell'ex ferrovia Veneta. Altri importanti interventi di ristrutturazione sono stati realizzati nelle abitazioni di via Irma Bandiera e di via Reiter angolo via Pezzana. Al di fuori della città di Bologna significativi risultano essere stati il recupero edilizio dell'insediamento storico di Colle Ameno a Sasso Marconi, e la realizzazione di insediamenti abitativi a Baricella in via Savena Vecchia, a Casalecchio di Reno in località San Biagio, Castello d'Argile, San Pietro in Casale e a Sesto Imolese.
Nel 1997 l'Istituto procedette ad una modernizzazione del proprio assetto amministrativo con una ristrutturazione dell'organico e dei servizi.
Tuttavia la cesura più importante a livello legislativo, amministrativo e di gestione del patrimonio edilizio si ebbe con l'entrata in vigore della legge regionale Emilia-Romagna n. 24 dell'8 agosto 2001, riguardante la "Disciplina generale dell'intervento pubblico nel settore abitativo" che sancì il passaggio dall'Istituto autonomo per le case popolari della provincia di Bologna al nuovo ente pubblico economico denominato Azienda casa Emilia-Romagna della Provincia di Bologna.
Luoghi

Bologna (sede, 1906 -)

Imola (sede decentrata, 1984 -)

Funzioni e attività L'ente svolge le seguenti attività:

- gestione di patrimoni immobiliari, tra cui gli alloggi di edilizia residenziale pubblica (erp), e la manutenzione, gli interventi di recupero e qualificazione degli immobili, ivi compresa la verifica dell'osservanza delle norme contrattuali e dei regolamenti d'uso degli alloggi e delle parti comuni;

- fornitura di servizi tecnici, relativi alla programmazione, progettazione, affidamento ed attuazione di interventi edilizi o urbanistici o di programmi complessi;

- gestione dei servizi attinenti al soddisfacimento delle esigenze abitative delle famiglie, tra cui le agenzie per la locazione;

prestazione di servizi agli assegnatari di alloggi di erp e di abitazioni in locazione.

I Comuni, le Province e gli altri enti pubblici possono avvalersi dell'attività di Acer anche attraverso la stipula di una apposita convenzione, che stabilisce i servizi prestati, i tempi e le modalità di erogazione degli stessi ed i proventi derivanti dall'attività.

Acer, inoltre, può:

- costituire o partecipare a società di scopo per l'esercizio dei compiti sopra riportati, di attività strumentali allo svolgimento degli stessi ovvero delle attività inerenti alle politiche abitative degli Enti locali individuate dallo statuto, fermo restando il perseguimento delle finalità sociali cui è preposto;

- svolgere le attività elencate a favore di soggetti privati nelle forme contrattuali di diritto civile, secondo criteri di redditività.
Quadro giuridico-normativo - l. n° 551, del 12 dicembre 1903 (approvazione del Regolamento n° 6021/1870);

- l. n° 251 del 31 maggio 1903 (su iniziativa dell'onorevole Luigi Luzzatti per la realizzazione di case popolari);

- r.d.l. n° 237 dell'8 luglio 1906 (decreto in cui l'Istituto per le case popolari di Bologna fu riconosciuto come Ente morale);

- t.u. n° 89 del 27 febbraio 1908 (sulle case popolari ed economiche. Fece seguito il Regolamento applicativo n° 528 del 12 agosto 1908);

- l. n° 2318 del 30 novembre 1919 (istituzione dei Comitati provinciali per le case popolari - art. 49);

- r.d. n° 65 dell'11 gennaio 1923 (abolizione dei Comitati provinciali per le case popolari e passaggio competenze agli Iacp);

- r.d.l. n° 1944 del 25 ottobre 1924 e n° 1945 del 20 novembre 1924 (vengono stabiliti i finanziamenti per la costruzione di case destinate ai funzionari dello Stato e si costituiva a tal fine l'Incis);

- l. n° 782 del 9 giugno 1930 (autorizzazione al testo unico per l'edilizia economica e popolare);

- l. n° 1129 del 6 giugno 1935 (istituzione del consorzio fra gli istituti autonomi per le case popolari e disposizione di costituzione e riconoscimento di uno per singola provincia);

- r.d. n° 1031 del 30 aprile 1936 (norme per l'attuazione della legge n° 1129 del 6 giugno 1935);

- r.d. n° 1049 del 25 maggio 1936 (statuto tipo dei singoli Istituti autonomi provinciali di nuova costituzione o da riconoscersi come tali);

- d.m. n° 3450 del 27 marzo 1937 (l'Istituto per le case popolari della Provincia di Bologna viene riconosciuto Istituto autonomo provinciale);

- t.u. n° 1165 del 1938 (separazione fra municipalizzate ed enti destinati alla creazione di case popolari);

- r.d. n° 1165 del 28 aprile 1938 (approvazione del t.u. delle disposizioni sull'edilizia popolare ed economica);

- d.m. n° 9853 del 7 agosto 1958 (approvazione di alcune modifiche dello statuto dell'Istituto per le case popolari di Bologna);

- l. n° 60 del 14 febbraio 1963 (liquidazione del patrimonio edilizio della Gestione Ina Casa e istituzione di un programma decennale di costruzione di alloggi per lavoratori);

- l. n° 865 del 22 ottobre 1971 (trasformazione degli Iacp da enti pubblici economici ad enti pubblici non economici. La legge fu denominata "Riforma della casa");

- d.p.r. n° 1036 del 30 dicembre 1972 (gli Iacp subentrano nella proprietà e nella gestione di tutto il patrimonio degli enti disciolti, quali Gescal, Incis, Ises, Unrra Casa, ecc.);

- l. n° 258 del 5 maggio 1976 (modifiche ed integrazioni al d.p.r. 30 dicembre 1972 n° 1036, concernente norme per la riorganizzazione delle amministrazioni e degli enti pubblici operanti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica);

- d. lgs. n° 112 del 31 marzo 1998 (conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n° 59);

- l. regionale Emilia-Romagna n° 24 dell'8 agosto 2001, (riguardante la "Disciplina generale dell'intervento pubblico nel settore abitativo").
Organizzazione interna Le numerose modificazioni intervenute all'organico dell'Istituto sono solitamente dovute a cambiamenti politici-amministrativi della gestione ed in particolare sono due i fattori principali che si alternano nel tempo: l'attenzione alla costruzione di nuovi alloggi abitativi e l'attenzione all'inquilinato con migliorie ai servizi igienico-sanitari e sociali. Secondo il Regolamento organico del 1950, poi aggiornato nel 1961 nota 1:Regolamento organico degli uffici e del personale. Approvato con delibera consiliare del 25-26-29 e 30 marzo 1950 (30) - Depositato agli atti dell'Istituto il 6 aprile 1950 al numero 640 di protocollo - Entrato in vigore l'1 maggio 1950 - Aggiornato a tutta la delibera consiliare del 10 luglio 1961 n. 166 oggetto 8, lettera A. la struttura dell'ente è così ripartita: 1. Direzione generale 2. Servizio tecnico 3. Servizio amministrativo La Direzione generale provvede direttamente, avvvalendosi dei seguenti uffici: - Personale - relazioni pubbliche - statistiche: provvede e cura i regolari rapporti con gli Enti previdenziali per l'assistenza del personale stesso, alla conservazione delle cartelle personali di tutti i dipendenti, alla predisposizione delle statistiche demografiche patrimoniali ed alle pubbliche relazioni; - Segreteria - protocollo - archivio e biblioteca: provvede al disbrigo del carteggio ordinario e particolare, alla spedizione di tutta la corrispondenza e allo smistamento di quella in arrivo, all'adempimento delle pratiche e formalità relative alla tenuta e conservazione degli atti della Presidenza e del Consiglio, dei repertori di tutti gli atti e contratti, del protocollo, dell'archivio e della biblioteca, alla predisposizione degli atti in forma pubblica-amministrativa e, in collaborazione con il Servizio tecnico e con il Servizio amministrativo, alla elaborazione dei piani finanziari ed al loro successivo controllo; - Servizio di esattoria e di tesoreria affidato ad un Istituto di credito cittadino. Il Servizio tecnico provvede a tutti gli affari tecnici relativi alla costruzione, alla vigilanza ed alla manutenzione degli stabili di proprietà dell'Istituto o da questo eventualmente costruiti, amministrati o gestiti per conto di terzi, alla preparazione dei piani tecnici e preventivi per l'acquisto di aree fabbricabili e di fabbricati, allo studio ed alla compilazione tecnica e finanziaria dei progetti per nuove costruzioni, alla direzione e contabilità dei lavori, alla eventuale esecuzione di collaudi anche per conto di terzi, alla predisposizione dei capitolati di appalto. Collabora, secondo la propria competenza con la Direzione generale e il Servizio amministrativo per la determinazione dei piani di affitto o di vendita degli alloggi e locali e, in genere, in tutti gli altri casi in cui la sua collaborazione con la Direzione generale e il Servizio amministrativo sia prevista o implicita secondo il presente regolamento o venga comunque richiesta dalla Direzione generale. Il Servizio amministrativo provvede a tutti gli affari amministrativi, ai rapporti economici con gli enti ed uffici pubblici e coi privati, a tutti gli atti e contratti, alle pratiche per l'assegnazione degli alloggi e dei locali, alla gestione amministrativa ed alla disciplina degli stabili e dell'inquilinato, alle eventuali gestioni per conto di terzi, alla compilazione dei bilanci preventivi e dei conti consuntivi, alla preparazione dei piani finanziari, alla esecuzione di tutti gli atti, e contratti, alle funzioni di economato, al controllo amministrativo-contabile di ogni e qualsiasi spesa ed all'esame e vidimazione di ogni e qualsiasi rendiconto, al servizio di cassa economale da affidarsi ad un impiegato che dovrà essere previamente munito di espressa delega mediante ordinanza presidenziale. Collabora, secondo la propria competenza, con la Direzione generale e il Servizio tecnico, per la determinazione dei piani di affitto o di vendita degli alloggi e locali e, in genere, in tutti gli altri casi in cui la sua collaborazione con la Direzione generale e il Servizio tecnico, sia prevista o implicita secondo il presente regolamento o venga comunque richiesta dalla Direzione generale. Secondo l'attuale regolamento organico, sono organi di Acer: - la Conferenza degli enti; - il Consiglio di amministrazione; - il Presidente; - il Collegio dei revisori dei conti. La Conferenza degli enti è composta dal Presidente della Provincia che la presiede e dai Sindaci dei comuni della provincia di Bologna. Il Consiglio di amministrazione, nominato dalla Conferenza degli enti, dura in carica cinque anni ed è formato dal Presidente e da altri due componenti. Il Presidente, nominato dalla Conferenza degli enti, rappresenta Acer. Convoca e presiede il Consiglio di Amministrazione e sovrintende al funzionamento dell'azienda. A tal fine, il Presidente: - promuove e cura le relazioni con gli organismi interessati dall'attività di Acer; - esplica, nell'ambito della gestione complessiva di Acer, compiti di promozione, sviluppo e controllo; - sovrintende alla elaborazione dello schema di bilancio preventivo e di esercizio. Il Vice presidente, è nominato dal Consiglio di amministrazione che gli ha attribuito le deleghe per la gestione e per il controllo della struttura organizzativa alle procedure di organizzazione del lavoro e degli strumenti di gestione delle risorse umane. Il Consigliere delegato ha la delega per la trattazione delle tematiche relative al rapporto con gli utenti, al controllo delle attività di amministrazione del personale e all'area legale. Il Collegio dei revisori dei conti dura in carica cinque anni ed esplica il controllo interno sulla gestione di Acer. E' composto da tre membri effettivi e tre supplenti: Il Direttore generale dirige l'attività dell'azienda in collaborazione con i dirigenti. Dal Direttore generale dipendono quindi l'Energy manager, l'Ufficio stampa e comunicazione, il Responsabile servizio protezione e prevenzione e il Rappresentante della direzione per la qualità. Rispondono al Responsabile e al Rappresentante la Divisione risorse umane, l'Ufficio relazioni col pubblico e controllo qualità, la Segreteria generale. Questi tre ultimi devono interagire con la Direzione centrale contratti e con la Divisione organizzazione, logistica e centro servizi. Tutti questi ultimi 5 assieme coordinano e sviluppano l'attività svolta dalla Direzione amministrativa e società e dalla Divisione pianificazione e budget, controllo di gestione, direzione commerciale e indagini di mercato. A questi sono sottoposte le due Direzioni operative e clienti: la Direzione tecnica e la Direzione gestione del patrimonio.

Risorse collegate

Fonti utilizzate per la compilazione della scheda

Fonti archivistiche:

- ARCHIVIO STORICO DELL'ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI BOLOGNA, Atti del consiglio d'amministrazione.

- ARCHIVIO STORICO DELL'ISTITUTO AUTONOMO CASE POPOLARI DI BOLOGNA, Verbali del consiglio d'amministrazione.

Fonti bibliografiche:

- Per Bologna novant'anni di attività dell'Istituto Autonomo Case Popolari 1906-1996, a cura di M. GIARDINI, Bologna, Istituto autonomo case popolari di Bologna, 1996;

- 50 anni di abitazioni sociali, a cura di A. M. POZZO, V. GIZZI, C. DI ANGELO ANTONIO, Federcasa ANIACAP, Roma, Edizioni Edilizia Popolare, 2001.

Fonti on-line:

- http://www.acerbologna.it/site/home/chi-siamo/organigrammi.html (consultato il 15 novembre 2012).

Note

Scheda descrittiva a cura di Saverio Amadori redatta nel 2013 nell'ambito del progetto "Una città per gli archivi", promosso dalla Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna e dalla Fondazione Cassa di Risparmio in Bologna.