Prime riflessioni di natura metodologica e storico-archivistica intorno all’ordinamento delle carte dell’architetto Paolo Sironi (Milano 1858 – Bologna 1927) conservate presso l’Archivio Storico dell’Università di Bologna. Contributi di autori vari.
Il progetto Una città per gli archivi e il fondo dell’architetto Paolo Sironi
I contributi che seguono questa breve introduzione presentano in modo esaustivo le caratteristiche archivistiche del fondo Paolo Sironi, o meglio ciò che resta di tale complesso documentario, evidenziando anche ciò che manca, le sue lacune. I saggi dei colleghi hanno il merito di fare emergere chiaramente tutte le difficoltà metodologiche e i dubbi euristici connessi con l'inventariazione di tale fondo speciale, né trascurano di illustrare la storia della sedimentazione dell’archivio e la multiforme tipologia documentaria in esso contenuta. Vengono inoltre indagate le modalità di lavoro dell’architetto, che fu anche impresario, sondandone la progettualità sempre originale, perché al confine tra arte e architettura, Tale analisi consente di avanzare, a seguito di questo preliminare sondaggio, e in via ipotetica, alcune proposte che hanno guidato l’intervento.
L'inventario del fondo di Paolo Sironi conservato presso l'Archivio Storico dell'Università di Bologna è ora pubblicato nel portale archIVI (http://www.cittadegliarchivi.it/pages/getDetail/idIUnit:1/archCode:ST0114).
Questo incremento di conoscenza grazie alla vitalità della rete consente di avere a disposizione inventari e riproduzioni digitali di materiale archivistico schedato, caratterizzato, come nel caso presente, da una cospicua presenza di fototipie, elaborati grafici e progetti costruttivi, che costituiscono il frutto del progetto "Una città per gli archivi".
Breve bibliografia di progetto (ragionata)
Sulla storia del progetto e sulla sua organizzazione e articolazione si vedano D. Camurri, Il progetto “Una città per gli Archivi”, in «Storia e Futuro. Rivista di storia e storiografia on-line», n. 17, giugno 2008 e le introduzioni di A. Antonelli stampate in Spigolature d’Archivio. Contributi di archivistica e storia del progetto Una città per gli archivi, a cura di A. Antonelli, Bologna, Bononia University Press, 201 e in un numero monografico della rivista «Archivi & Computer», XXII, 2, 2012. Il regolare aggiornamento del progetto è documentato nei bilanci della Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna: 17° Bilancio di Missione 2007, Bologna, Fondazione, 2008, pp. 55-56, 18° Bilancio di Missione 2008, Bologna, Fondazione, 2009, pp. 74-75, 19° Bilancio di Missione 2009, Bologna, Fondazione, 2010, pp. 69-71, Bilancio di Mandato. Cinque anni di attività (2005-2009), Bologna, Fondazione, 2010, pp. 206-209, 20° Bilancio di Missione 2010, Bologna, Fondazione, 2011, pp. 85-87. 21° Bilancio di Missione 2011, Bologna, Fondazione, 2012, p. 75, 22° Bilancio di Missione 2012, Bologna, Fondazione, 2013, pp. 77-78, 23° Bilancio di Missione 2013, Bologna, Fondazione, 2014, p. 83, 24° Bilancio di Missione 2014, Bologna, Fondazione, 2015, p. 77, 25° Bilancio di Missione 2015, Bologna, Fondazione, 2016, p. 33.
Per le questioni metodologiche si vedano i saggi di diversi autori pubblicati in «Archivi & Computer», XXII, 2, 2012, mentre per gli aspetti storico-archivistici si vedano i saggi pubblicati nel già citato Spigolature d’Archivio.
Prime riflessione su questa esperienze sono espresse da Linda Giuva, Maria Guercio, Stefano Vitali nella premessa di «Archivi & Computer», 2012, 2, pp. 5-6, mentre sulla connotazione territoriale del progetto si veda I. Pescini, Città degli archivi, archivi territoriali: nuovi modelli di conservazione, in Archivistica. Teorie, metodi, pratiche, a cura di L. Giuva e M. Guercio, Roma, Carocci, 2014, pp. 405-428.
Sulla campagna di digitalizzazione che ha accompagnato gli interventi archivistici si veda A. Antonelli e M. Montanari, “Una città per gli archivi”. Digitalizzazione e conservazione preventiva: una doppia strategia per salvare la nostra memoria, in Prima, durante... invece del restauro. Atti del sesto congresso internazionale "Colore e conservazione. Materiali e metodi nel restauro delle opere policrome mobili" (Parma, 16-17 novembre 2012), a cura di C. Lodi e C. Sburlino, Il Prato, Padova, 2013, pp. 135-149.
A riguardo dell'esperienza dei focus group si vedano i contributi di P. Feliciati, Ask the users, il valore aggiunto della valutazione dei sistemi informativi culturali on-line coinvolgendo gli utenti: il caso del progetto "Una città per gli archivi”, in «Il capitale culturale. Studies on the Value of Cultural Heritage», 5, 2012, pp. 129-144; A. Alfier - P. Feliciati, Cambio de paradigma en el próximo decenio: el desafío de la Web para los instrumentos de descripción de los archivos, in «Tabula», XVI, 2013, pp. 179-195; A. Alfier, Gli strumenti di accesso agli archivi e le sfide del Web, in «Archivi & Computer», XXIII, 2013, 2, pp. 113-132; A. Alfier - P. Feliciati, From Access to Use. Premises for a user-centered quality model for the development of archives online, in Theory and Practice of Digital Libraries TPDL 2013 Selected Workshops, Atti della 17th European Conference on Digital Libraries organized by the TPDL forum, Berlin, Springer, 2014, pp. 174-179.
Sul portale archIVI e i suoi utenti si leggano i saggi di A. Alfier e C. Kolletzek, Una nuova porta su Bologna. Il portale del progetto "Una città per gli archivi", in «TECA», 4, 2013, A. Antonelli, Cercando in "archIVI", in «IBC», XXIII, 3, 2015; S. Vitali, La ricerca archivistica sul web, in Guida critica all'uso della rete, a cura di Rolando Minuti, Roma, Carocci, 2015; A. Antonelli, Riflessioni intorno al progetto Una città per gli archivi, in The Net. La rete come fonte, la rete come strumento di accesso alle fonti, Atti del convegno (Firenze, Villa Salviati, 25 febbraio 2016), a cura di A. Becherucci e F. Capetta, Roma, Edizioni di Storia e Letteratura, 2017, pp. 73-86; A. Antonelli, L’esperienza del progetto “Una città per gli archivi”: tra territorio e web, in Comunicare gli archivi nell'era di internet, convegno organizzato dall'Associazione nazionale archivistica italiana - Anai e dall'Istituto centrale per gli archivi - ICAR (Roma, Archivio di Stato, mercoledì 16 marzo 2016), A. Antonelli, L'esperienza archivistica del portale archIVI, in Il patrimonio culturale si svela: le biblioteche dell'università fra didattica, ricerca e nuove opportunità, Atti della Tavola Rotonda (Ferrara, Salone Restauro-Musei, 22 marzo 2017), Ferrara, UnifePress, 2017.
Esaurienti informazioni sulle istituzioni promotrici, sull'infrastruttura impiegata per la descrizione archivistica, sulla progettazione, analisi e sviluppo della piattaforma web, sull'ideazione e progettazione del portale, sul progetto grafico, logogramma, sul content management system, sul sistema di information retrieval, su housing server, streaming on demand si trovano nel footer dell'homepage del portale archIVI alla seguente pagina.
Armando Antonelli, Fondazione del Monte di Bologna e Ravenna
Un’inedita sinergia diagnostica
L’innovativa e complessa impresa che stiamo qui presentando – e di cui ringrazio vivamente tutti gli autori del presente testo, che mi hanno accompagnato nel suo sviluppo operativo –, parte assai da lontano.
In relazione al Programma Operativo Regionale 2007-2013 – sottoscritto dalla Regione Emilia-Romagna/RER, nel gennaio 2009, con il Fondo europeo di Sviluppo Regionale – Obiettivo Competitività Regionale e Occupazione dell’UE, dal titolo: Linee guida per l’attuazione dell’attività “Creazione di tecnopoli per la ricerca industriale e il trasferimento tecnologico” –, l’Università di Bologna stipula con la stessa RER un protocollo operativo per l’istituzione di specifici Centri InterdipartimentalI per la Ricerca Industriale – CIRI/UniBo; ed all’interno dello scenario strategico della rete dei tecnopoli della RER, lo specifico CIRI “Edilizia e Costruzioni”[1] istituisce l’Unità Operativa: “Tecnologie innovative applicate al restauro, recupero e riqualificazione del patrimonio costruito - Formazione e restauro dei materiali”[2].
Tra i primari obiettivi dell’iniziativa viene enumerata l’azione: “Sviluppo di protocolli operativi di intervento sul patrimonio architettonico, archeologico e storico-artistico compreso il restauro degli apparati decorativi e la progettazione di strutture destinate ad ospitare beni culturali per una loro appropriata conservazione”; azione centrata sullo "sviluppo di metodi e tecnologie di documentazione e riproduzione di elementi e contesti d’interesse storico-archeologico e creazione di sistemi appropriati di archiviazione dei dati"[3], e che, in forma mirata, si materializza in un investimento destinato all’ottimizzazione di un prodotto strumentale dedicato: “Metodologie speditive per la valutazione prestazionale del patrimonio edilizio esistente”[4]. Vocazione centrale di quest’istanza metodologica è quella di fornire strumenti e metodi operativi per progettisti ed operatori negli interventi sul patrimonio edilizio storico al fine di formulare sia una valutazione speditiva dello status dell’edifico in accordo all’attuale normativa prestazionale, sia una indicazione tecnico-economica sui costi e benefici attesi; il tutto attraverso l’elaborazione di un innovativo data base: "Un protocollo informatizzato che consenta di correlare i contenuti conoscitivi e valutativi secondo un sistema 'intelligente', ovvero capace di ottimizzare la selezione dei dati di ingresso in ragione delle necessità poste dall’obiettivo, ovvero della formulazione di una valutazione preliminare dei requisiti prestazionali dell’edificio"[5].
All’interno di tale articolato contesto, il CIRI “Edilizia e Costruzioni” ha finanziato il Laboratorio di Ricerca Archivistico-Documentale per la valorizzazione del patrimonio storico-architettonico e paesistico della città di Bologna e del suo territorio [Lab.RAD]. Una proposta che, seppur in forma macroscopica, è animata dall’intento di base di rispondere a due differenziati ma simmetrici interrogativi strategico-disciplinari: a) quanto la cogente ordinarietà della ricerca storico-archivistica è in grado di emanciparsi da una sua eroica, spesso mitologica, “straordinarietà”, per divenire una più corrente testimonianza patrimoniale di un territorio e delle sua comunità[6]? b) Quale compatibilità e/o adeguamento degli standard “censuari” consolidati – in origine soprattutto archivistico-documentali –, debbono essere attivati rispetto questa diversa mission 'valutativa'?
In questa operante prospettiva, al fine di testare le precedenti esigenze strategico-disciplinari, la mia candidatura CIRI ha investito un dimensionato ma rappresentativo nucleo documentale della “Sezione Architettura” dell’Archivio Storico dell’Ateneo bolognese: quel Fondo Sironi (su cui poi si concentrerà la successiva riflessione di Beatrice Bettazzi), che per la polimorficità documentale che lo connota – per quella dotazione 'multisupporto' che intrinsecamente contraddistingue l’archivio di un architetto e del suo operato produttivo-professionale – può risultare quanto mai adeguata a sperimentare, simultaneamente: 1) da una parte l’adeguamento di un framework archivistico accertato ad una gamma di informazioni interpretative-valutative che investono quel complesso intreccio informativo tra le 'metafore grafiche' del progetto architettonico ed i diversi documenti che ne hanno ispirato e/o indirizzato, sia l’impianto formale (la pubblicistica specialistica, ad esempio), sia l’attiva concretizzazione costruttiva dell’opera architettonica in esame(dalle foto di cantiere ai repertori burocratico-amministrativi allo scopo elaborati); 2) dall’altra, la capacità di una dedicata rendicontazione 'tecnica', inerente proprio quell’edificio, di raccontare le tante 'storie' che questa stessa architettura, non metaforicamente, sintetizza e rende leggibili.[7]
Il potenziamento informativo e la valorizzazione diagnostica di quest’ultimo fondo testimoniale-patrimoniale, saranno materialmente ottimizzati attraverso l’immissione dei suoi 'collezionati reperti documentali' all’interno dell’innovativa 'macchina archivistica' con successo collaudata nel complesso progetto: Una città per gli archivi[8], in stretta collaborazione con la Soprintendenza Archivistica dell’Emilia-Romagna.
Farà seguito all’impegnativo lavoro sul campo – orientato dall’articolato screening semantico-interpretativo ottimizzato per questo speciale fondo dell’architetto Paolo Sironi e della sua architettura –,[9] la dedicata implementazione di tale patrimonio documentale, opportunamente scansionato-catalogato, nel data base dello stesso progetto.
La messa a disposizione di tale repertorio progettuale per una sua possibile consultazione “da remoto” mi sembra, concludendo, possa suggerire soddisfacenti informazioni procedurali per rispondere appieno alle esigenze tecnico-informative contenute nel progetto CIRI, succitato.
Il modello di sistematica predisposizione documentale che verrà così sperimentato sarà in grado di offrire, inoltre, nuove opportunità di rendicontazione scientifica e divulgazione multimediale,[10] della complessa materia tecnico-progettuale contenuta nel fondo: “Sezione Architettura” dell’Archivio Storico UniBo.
Pier Giorgio Massaretti, Università degli Studi di Bologna
Il fondo “Sironi” nella Sezione “Architettura” dell’archivio storico UniBo
Il fondo intitolato alla figura di Paolo Sironi (Milano 1858 – Bologna 1927) è approdato all’Archivio Storico dell’Università di Bologna a seguito dell’operazione di individuazione e raccolta delle memorie documentarie relative alla costruzione della Bologna moderna condotte da Giuliano Grelseri e dalla sua équipe. Negli anni che hanno preceduto la mostra Norma e Arbitrio del 2001, sintesi e affresco storiografico per il segmento di storia urbana 1850-1950[11], un’intensa attività di censimento ha caratterizzato la didattica e i laboratori di Storia dell’Architettura della Facoltà di Ingegneria. Il lavoro e la figura di Paolo Sironi, personalità già nota nel panorama della letteratura artistica locale, non potevano passare inosservati, rappresentando forse l’unico esempio coerente di Liberty nel capoluogo emiliano.
L’allora studentessa Roberta Cirifalco, a cui fu attribuito Sironi come argomento di tesi, recuperò gli eredi e avviò l’opera di donazione, siglata dall’avv. Marzocchi che cedette ciò che restava delle carte familiari all’Archivio. Il fondo, approdato nel deposito di via Acri, pur molto saccheggiato e privo completamente del carteggio amministrativo, è però forse il corpus documentale, fra i tanti presenti, che meglio riesce a delineare la formazione permanente e le radici progettuali di un professionista dell’architettura. Infatti, i disegni (di tutti i tipi e su molti diversi materiali) sono affiancati da una quantità notevole di fotografie, da annate di riviste importantissime in quegli anni, fra cui «The Studio», «L’Arte ornamentale», «Monographie des Batiments Modernes», ecc…, e da volumi di grande pregio a documentare le opere dei colleghi italiani e d’oltralpe. Tutto ciò fu poi soggetto ad inventariazione e studio oggetto del pregevole lavoro di tesi della attuale ingegnere[12] Cirifalco.
Chi è in breve Paolo Sironi ? L’opera di questa singolare figura è stata quasi subito dimenticata, annegata nella retorica di regime degli edifici pubblici del ventennio fascista, nel razionalismo dei grandi falansteri per famiglie numerose o anche talvolta nella sofisticata ricerca formale delle villette monofamiliari, improntate ormai ad uno stile moderno. Sull’onda lunga della riabilitazione dei modernismi europei degli anni ’60 (a cui forse ha contribuito lo scandalo della demolizione dell’hortiana Maison du Peuple nel 1964) anche Paolo Sironi, nei tardi anni ’70, ha cominciato ad essere conosciuto, grazie all’opera di divulgazione della indimenticata Elena Gottarelli e poi delle mostre sul tema ospitate a Bologna e in altri centri della regione, prima e più significativa fra tutte Il Liberty a Bologna e nell’Emilia Romagna.
Devo premettere che della biografia del Nostro purtroppo conosciamo assai poco e quanto avviene prima del suo arrivo a Bologna, intorno al 1898 è frutto di supposizioni.
Paolo Sironi nasce nel 1858 a Milano da un imprenditore che gestisce un’attività di costruzione e vendita di mobili artistici. Figlio d’arte, ha la carriera segnata: si diploma all’Accademia di Belle Arti ma per la sua formazione è fondamentale il viaggio a Parigi che potrebbe collocarsi attorno al 1880. Qui ha senz’altro stabilito contatti con colleghi e ha allacciato liaison culturali utili poi per il suo lavoro una volta rientrato.
Alcune opere milanesi caratterizzano l’epoca successiva al suo ritorno in patria e, successivamente, nel 1898, lo troviamo a Bologna. Cosa gli offre questa città? Qual è la domanda di architettura e da chi viene? Si può forse dire che il professionismo, quindi l’élite colta e maggiormente conservatrice, si affida al più tranquillizzante stile eclettico, spesso in chiave neorinascimentale; mentre commercianti e uomini d’affari non disdegnano il nuovo e quindi possono trovare in Sironi colui che meglio di altri interpreta il loro bisogno di autolegittimazione sociale. Il Piano dell’89 aveva dato via libera e regolamentato l’espansione oltre le mura di cui prevedeva l’abbattimento, che avvenne nel 1902. Diversamente da altre amministrazioni urbane, Bologna ammette sul ring la tipologia edilizia della villa o villino, alternato, questo è vero, a caserme o scuole. Ed è in queste collocazioni che trova spazio il nostro Sironi. Egli fonda col figlio Alberto l’impresa di costruzioni ‘Edilizia Moderna’ di cui, grazie a un piccolo opuscolo pubblicitario, possiamo capire le strategie comunicative.
Sironi punta sul vantaggio dell’abitazione unifamiliare di cui riesce ad offrire una gamma vasta per prezzi e dimensioni. Ma il valore aggiunto dell’offerta sta nella salubrità dell’edificio, nella dotazione dei ‘confortabili’ che rendono ‘l’abitazione sana e attraente la quale coopera al miglioramento morale ed economico della famiglia perché affeziona maggiormente l’uomo alla propria casa e alla famiglia allontanandolo dai pubblici esercizi e dalle nocive compagnie’. Inedito e interessante è l’appello morale. L’operazione senza dubbio più éclatante è la lottizzazione fuori porta Saragozza. Alla fine del 1905 Paolo Sironi acquista in prima persona un lotto di terreno trapezoidale. Qui apre una via parallela ai viali che collega i due capi della proprietà e inizia a costruire villini, diversi l’uno dall’altro per forma e decorazione.
Che bilancio si può trarre di questa figura? Il nostro Paul Sirony, nella dizione francese creata forse per il mercato d’oltralpe, in realtà è un eclettico. Conosce e manovra tutti gli stili storici (vi sono disegni anche in un dettagliatissimo neo-cinquecento per la Cassa di Risparmio di Ferrara, ad esempio), tuttavia per le lottizzazioni sceglie il Liberty, che non nasce come stile storico, anzi. Ma il nostro architetto lo utilizza alla stregua di uno dei tanti possibili stili che vanno ad accontentare un determinato segmento di committenza.
Al contempo bisogna, d’altro canto, sottolineare la straordinaria singolarità della sua fisionomia di professionista, così fortemente implicato sul piano imprenditoriale, che sa promuovere il proprio lavoro tramite tutti gli strumenti che la società dell’informazione agli albori può mettergli a disposizione: albi, rassegne pubblicitarie, campagne gestite in proprio.
L’obiettivo di Paolo Sironi è, in definitiva, garantire la qualità di un prodotto diremmo oggi ‘chiavi in mano’, dall’acquisto dell’area all’arredo degli interni: qualcosa che si avvicina molto al concetto, allora in auge, di opera d’arte totale, ma con una forte dose di concretezza sanguigna, quella tipica della gente padana.
Maria Beatrice Bettazzi, Università degli Studi di Bologna
Architettura di un archivio. Il riordino delle carte di un architetto: spunti di riflessione
Varcando la soglia dello studio di un architetto, tra bozzetti e planimetrie abbandonate sul tavolo di lavoro, relazioni, computi metrici, corrispondenza, plastici, fotografie, cataloghi, riviste e libri disseminati su scaffali di libreria, mensole e scrivania, si oggettivizza la percezione delle criticità che si pongono nell’affrontare un intervento di riordino e descrizione delle carte professionali di un architetto.
Ora osservando con attenzione le modalità concrete insite nella prassi del mestiere - con particolare riguardo agli anni precedenti alla “rivoluzione” informatica -, si percepisce nitidamente la complessità dei legami che vincolano i molteplici e multiformi materiali che rappresentano i tasselli di un percorso professionale che si estende dalla genesi dell’idea di un progetto alla realizzazione finale del manufatto. Quell’Idea che scaturisce, non di rado, in maniera fulminea, deve essere cristallizzata su supporti, talvolta fortuitamente rinvenuti, che trasmettono le tracce, anche nebulose, di ciò che nel tempo prenderà il corpo di un edificio, di un ponte, di un arredo o di un oggetto di design.
E così non sorprenda recuperare inaspettatamente, ri-trovare tra le carte di Enrico De Angeli, celebre architetto bolognese che operò in città a partire dagli anni ’30 e per tutta la seconda metà del secolo scorso, i frammenti di un discorso progettuale, il residuo di quella irrefrenabile primigenia Idea, casomai, fermata per necessità creativa sul verso di un supporto, confezionato per tutt’altra motivazione, come un menù stampato per proporre agli avventori di un ristorante bolognese i più tradizionali tra i piatti felsinei.
Non di meno si deve tenere conto dell’intenzionalità artistica connaturata alla professione dell’architetto. E allora se si tiene conto proprio di questo elemento la prospettiva di quelle carte e di quegli oggetti si arricchisce di contenuti semanticamente capaci di raccontare gli interessi più profondi e le attività principali che caratterizzano un mestiere “sperimentale”, che si collega non di rado ad ambiti artistici come quelli del design o della progettazione d’interni e di elementi d’arredo e della progettazione del verde; mestiere che fa ricorso frequentemente ad una tecnica anch’essa anfibia, poiché “compromessa” tra arte e professione, come la fotografica.
Gli archivi degli architetti se da un lato si distinguono così per una produzione documentaria che, seppur costituita di materiali diversificati, catalizza nel progetto e concentra nella realizzazione di un oggetto l’elemento aggregativo, dall’altro si compongono di un buon numero di carte che afferiscono principalmente ad attività “collaterali”; siano esse l’espressione di un più ampio interesse per tecniche di natura “artistico-creativa” come la fotografia, la scultura, la pittura, il design, siano esse l’espressione di una professionalità che ha modo di esplicarsi in docenze, partecipazione a convegni, consulenze, divulgazione, saggi scientifici ed eterogenea produzione bibliografica.
Una peculiarità che colpisce del mestiere dell’architetto e che, senza alcun dubbio, è in grado di condizionare la produzione e la sedimentazione dell’archivio, è rappresentata dall’ereditarietà di tale professione. È, infatti, frequentissimo il caso in cui, direi persino naturalmente, il mestiere del padre si tramanda al figlio, ai nipoti. Ciò comporta quasi inevitabilmente la compresenza in un’attività progettuale, per così dire, familiarmente condivisa di più soggetti. Ne consegue pertanto, ed è l’osservazione concreta di tali complessi documentari a confermarcelo, che può spesso capitare di osservare una sedimentazione stratificata, nel medesimo fondo archivistico di nuclei documentari prodotti da soggetti differenti, tutti, però, membri di un medesimo nucleo familiare. Emblematico a questo proposito il caso dell’archivio degli architetti Gualandi, che trasmette un complesso archivistico in grado di narrare l’attività di tre generazioni - nonno, padre e figlio -; quelle carte si compenetrano in maniera osmotica attraverso i passaggi di consegne che danno continuità ad un’attività professionale che si sviluppa attraverso tre generazioni, per oltre un secolo, dalla seconda metà del XIX secolo agli anni ’90 del Novecento.
Non meno rilevante è poi una considerazione più generale che riguarda, allorché si prendano in considerazioni archivi di personalità, il rapporto che si istituisce tra le carte professionali e la documentazione personale che costituiscono parte di un medesimo e organico complesso documentario, la cui sedimentazione è conseguenza diretta, talora, delle modalità che ne hanno caratterizzato la custodia, la conservazione, talora, dell’osmotica contiguità dei luoghi di lavoro e di vita (Studio professionale-laboratorio tecnico e Studio privato riservato agli interessi, alle letture personali, luogo destinato quindi a ricavare uno spazio intimo), per una contaminazione che definirei naturale tra la sfera professionale e quella individuale.
Solo uno sguardo rivolto attraverso un approccio metodologico consolidato a tutti gli aspetti che distinguono caratterizzandolo ciascuno fondo inteso, appunto, nella sua originalità, integrità, complessità, interezza e storia è plausibile credere di preservarne l’organicità e, di conseguenza, di “rappresentare” con verosimiglianza quell’unicum, scoprendo e valorizzando i legami intrinseci che si sono istaurati nel corso del tempo, in modo dinamico, tra materiali e supporti anche molto eterogenei, i quali se a causa della loro natura esigono una conservazione separata e diversificata è chiaro che debbono essere considerati un tutt’uno, perché così è avvenuto sin dal momento ideativo della loro produzione. Ristabilire i nessi indeboliti dalla collocazione fisica, che si tratti di lucidi e disegni, di oggetti digitali, di materiale fotografico o di raccolta bibliografica, significa innanzi tutto riconoscere e poi ripristinare attraverso la descrizione (l’inventario) un nesso archivistico cogente, sufficiente e necessario.
Ciò è stato reso più facile grazie allo sviluppo dei database per la descrizione archivistica ed è oggi possibile rispondere a tale imperativo categorico, garantendo la descrizione delle unità documentarie secondo tracciati e standard specifici sviluppatesi nel corso di questi ultimi decenni, ma evitando al contempo la frammentazione del dato, la disgregazione impropria dei legami e la dispersione delle essenziali informazioni di contesto, ricomponendo idealmente e concretamente l’archivio.
Appunto, anche l’archivio dell’architetto Paolo Sironi per la natura dell’esperienza professionale e per il complesso di materiali che comprende, non si sottrae alle problematiche fin qui esposte. Le relazioni internazionali istaurate, la formazione culturale alimentata principalmente in Francia, gli interessi espressi in vari ambiti professionali e culturali ne tratteggiano una figura di “instancabile disegnatore, collezionista, lettore aggiornatissimo di riviste di moda e di architettura”, di cui l’archivio restituisce un’affidabile immagine. Emerge immediatamente l’impronta internazionale dell’esperienza formativa e professionale attraverso l’analisi della ricca raccolta di materiali bibliografici accumulati anche durante il periodo che Sironi trascorse in Francia, sino almeno al 1898, anno in cui si trasferì a Bologna. Abbandonato l’insegnamento a cui si era dedicato nel soggiorno parigino, concentrò in Italia l’attività di progettazione e imprenditoriale di cui rimane evidente traccia nelle carte che con metodo - grazie anche al contributo organizzativo della moglie -, raccolse, documentando le varie fasi costruttive di strutture, ambienti e oggetti, attraverso un ricco apparato fotografico di cui egli stesso risulta essere l’autore. Non si dimentichi che in ambito imprenditoriale non pare trascurabile l’esperienza professionale intrapresa insieme al figlio Alberto, anch’esso architetto, nel campo della produzione di oggetti d’arredo con la ditta “Tappezzerie- ebanisteria Sironi” che proseguiva incentivandola un’attività iniziata dal padre Giovanni e di cui l’archivio restituisce una ricca produzione mediante documenti multiformi come cataloghi, tavole o schizzi di mobili e di arredamenti che restituiscono la pregevolezza dei manufatti prodotti.
All’interno di tale complesso archivistico si registra poi la presenza di un nucleo documentario riferibile esclusivamente all’attività del figlio Alberto Sironi, che sappiamo si trasferì in Brasile dopo una breve esperienza a Milano e che nel 1924 premorì al padre cui si deve, presumibilmente, la “devota” conservazione dei suoi materiali.
Restituire gli intrecci di un’architettura di materiali così complessa, richiede al contempo uno studio approfondito del tessuto culturale e sociale in cui il soggetto produttore ha operato, l’analisi dei nessi tra i materiali, l’acquisizione di tecniche e competenze descrittive, l’applicazione dei dettami archivistici nonché il supporto di strumenti informatici che garantiscano la restituzione. Obiettivo realizzabile solo grazie al coinvolgimento di diversificate competenze che il progetto Una città per gli archivi di Bologna è stato in grado di coagulare intorno all’archivio dell’architetto Paolo Sironi.
Giovanna Caniatti, Soprintendenza Archivistica e Bibliografica dell'Emilia-Romagna
L'Archivio di Paolo Sironi: primi approcci ai fondi fotografico e degli elaborati grafici
L'archivio di Paolo Sironi, per anni custodito presso l'avvocato Federico Marzocchi e donato all'Archivio Storico dell'Università di Bologna in occasione della presentazione della figura dell'architetto e della sua opera nella mostra Norma e arbitrio,[13] svoltasi nel 2001 al Museo Civico Archeologico di Bologna, sintetizza tutte le peculiarità individuabili negli archivi degli architetti descritte nel contributo di Giovanna Caniatti.
L'intervento di riordino e d’inventariazione che ci vede coinvolte è successivo a quello inaugurato agli inizi degli anni Duemila dalla tesi di laurea di Roberta Cirifalco.[14] Questo primo e consistente approccio ha interessato l’analisi dettagliata dei multiformi materiali che caratterizzano l’archivio Sironi, indirizzando il lavoro verso una suddivisione e una organizzazione tipologica della documentazione.
La Cirifalco descrive la condizione del nucleo documentario precedente alla sua riorganizzazione come il frutto di una sedimentazione complessa, il cui esito non può che essere un ordine precario, dovuto senz'altro anche ai diversi passaggi di proprietà e ai conseguenti traslochi.
A distanza di circa dieci anni, nonostante l'accurato lavoro di riordino effettuato, quello che emerge è nuovamente una condizione prevalentemente non organizzata dei materiali.
L'archivio di Paolo Sironi è costituito da 109 libri, 48 periodici, 3 cataloghi della ditta Paolo Sironi, 1 Libro-giornale di cantiere, 149 disegni, 266 schizzi architettonici, 554 tavole relative alla ditta Tappezzeria-ebanisteria Sironi, 100 schizzi per mobilio ed arredamento, 66 stampe, 17 acquerelli, 2 particolari architettonici, 712 fotografie, 16 cartoline postali, 752 stralci di libri e riviste, cui si devono aggiungere 1 album di fotografie, 2 quaderni didattici, 1 documento d’identità e 18 elaborati grafici appartenenti all’archivio del figlio Alberto Sironi, architetto anch'esso.
Una confusione da intendersi però in senso etimologico, come con-fusione, un mescolarsi, un fondersi insieme specifico e complesso, di documentazione raccolta, collezionata e prodotta nel corso degli anni, da una personalità, poliedrica e complessa.
Dobbiamo infatti pensare alla costituzione dell'archivio del professionista Paolo Sironi come ad uno spontaneo prodotto di risulta che ben sintetizza e rende patenti le peculiarità “architettoniche” proprie degli studi-archivi di architetti descritte da Caniatti.
Proprio all’interno degli studi di professionisti, come sono quelli degli architetti, è possibile recuperare le più diverse tipologie documentarie relative, non soltanto alla professione e alle carte, oggetti specifici che ne consentono lo svolgimento, ma anche a quella documentazione attinente alle vicende personali.
Le criticità che si incontrano nel predisporre un intervento di riordino e descrizione di una simile tipologia di archivio, come quello di Paolo Sironi, sono pertanto numerose ed eterogenee.
I materiali, nella loro varietà tipologica e nella loro multiformità espressiva di veicoli comunicativi, devono essere sì trattati e descritti tenendo conto delle caratteristiche specifiche proprie di ciascuna tipologia documentaria e devono altresì essere riordinati in modo tale da garantirne una loro fruizione e, eventualmente, valorizzazione, ma tali istanze non possono e non devono impedire la restituzione il più possibile fedele delle intenzioni originali di chi ha prodotto e raccolto materiali tanto diversi e, di conseguenza, del suo modo di lavorare e di essere.
Quella di Paolo Sironi è una figura complessa, a metà strada fra il professionista e l'artista. Una personalità anfibia, nata a Milano nel 1857 e formatasi presso l'Accademia di Belle Arti di Brera verso gli anni Settanta dell'Ottocento, in un periodo in cui in Italia il diploma abilitava all'insegnamento del disegno, ma impediva di esercitare la professione di architetto che era riservata solo alla laurea in architettura civile rilasciata dagli istituti politecnici.[15]
Un architetto artista, dunque, in competizione con gli architetti tecnici, cui erano destinate le grandi commesse di pubblica utilità, i piani regolatori delle città, la progettazione dell'edilizia popolare e dei servizi urbani e assistenziali. Al primo non rimaneva che la possibilità d'occuparsi di imprese pubbliche monumentali, anche di grande prestigio, e di soddisfare le esigenze dell'imprenditoria privata con la realizzazione di un'edilizia e un design d'interni che potesse accontentare i capricci di una borghesia in ascesa ed espansione, mediante la progettazione di stabilimenti termali e balneari.
Durante gli anni milanesi Sironi si impegna nel campo della produzione di oggetti d’arredo presso la ditta paterna “Tappezzerie-ebanisteria Sironi”, esperienza testimoniata dai cataloghi, dalle tavole o dagli schizzi di mobili e di arredamenti ancora conservati. Più ampio respiro internazionale toccherà in sorte dell’architetto artista Paolo Sironi durante gli anni della sua formazione francese. A Parigi, infatti, negli anni del suo apprendistato, egli avrà modo di aprirsi a nuovi traguardi espressivi, di venire a contatto con importanti personalità nel campo dell’architettura, di conoscere le novità in ambito costruttivo, di svolgere attività di insegnamento e, come si desume dalla ricca biblioteca rinvenuta nel suo studio e confluita nell'archivio, di portare con sé, di ritorno in Italia, gli aspetti più importanti maturati da quella esperienza internazionale, grazie anche ai libri, ai cataloghi, ai periodici e alle raccolte iconografiche collezionate negli anni passati Francia.
Il professionista, che nel 1898 giunge a Bologna e che fonda in città la ditta costruttrice “Edilizia Moderna”, è quindi a tutti gli effetti una personalità poliedrica, un'artista e un fine artigiano, ma anche un aggiornato e competente architetto. Tale bagaglio tecnico e culturale consentirà a Sironi di portare avanti progetti di edilizia a lui richiesti dai privati e dagli imprenditori che negli stessi anni si stavano espandendo ai margini della città, e che gli chiedevano di occuparsi di ogni aspetto: dall'acquisto delle lottizzazioni allo sviluppo dell'architettura dei nuclei abitativi, dalla decorazione degli esterni alla progettazione di sofisticati e mai banali interni.
Anche di tutto questo processo i materiali presenti in archivio sono testimoni.
Le esperienze che hanno concorso alla formazione di Sironi sono dunque rintracciabili nel confuso nucleo documentario che ne costituisce l'archivio. Rimangono le tavole dei cataloghi della ditta “Tappezzeria ebanisteria Sironi”, una raccolta iconografica diversificata che fa ricorso a veicoli espressivi differenti come la riproduzione meccanica di stampe, l'elaborato grafico, la fotografia, il bozzetto a matita su carta o lucido, rimangono i libri, i periodici, e i ritagli di riviste e di cataloghi di provenienza francese, tedesca e inglese che raccontano, meglio di qualsiasi biografia, il respiro internazionale degli interessi e di chi li ha raccolti, finiti e, cosa non da poco, diffusi in Italia, dal momento che sappiamo che Paolo Sironi si fece portavoce a Bologna della cultura francese, pubblicando un'edizione della Revue artistique et industrielle.[16]
Le raccolte iconografiche, costituite da una cospicua varietà di materiali, come tavole edite e fotografie fino al più sgualcito dei ritagli di giornale, dimostrano l’irrequieta curiosità e il desiderio di rimanere al passo con le mode e i gusti dell'epoca, riuscendo magari, con grande lungimiranza, ad anticipare i tempi.
Tentando, infine, di concentrarci su quei materiali apparentemente meno rappresentativi dei gusti personali dell'architetto, ma più vicini alla libera professione nel campo della progettazione d'interni e dell'edilizia, quello che salta agli occhi è, ancora una volta, l’eterogeneità dei mezzi espressivi impiegati da Sironi per tradurre l'idea in oggetto o in una costruzione tridimensionale ancora oggi, dopo cento anni, visibile e, cosa ancor più importante per un architetto, abitata..
In particolar modo se ci si riferisce all'edilizia, si riscontra che di alcuni dei suoi più importanti progetti, quelli almeno di cui è al momento certa l'attribuzione, sono rappresentati soprattutto tre differenti tipologie di documenti: il bozzetto, l'elaborato grafico e la fotografia.
Non tratteremo in questa sede del pur corposo nucleo di bozzetti e schizzi eseguiti da Paolo Sironi con abile maestria,[17] circa cinquecento disegni nei quali egli ha fissato a mo’ di appunti particolari architettonici, elementi di arredo e mobilio, vedute di interni e idee architettoniche che hanno poi trovato sviluppo e realizzazione. Non solo di schizzi estemporanei si tratta ma, in alcuni casi, di disegni, una sorta di rendering otto-novecenteschi, funzionali a veicolare commercialmente le sue architetture d'interni e di esterni, oltre al mobilio da lui progettato. Essendo indispensabile sia una visione generale capace di restituire la complessa architettura di materiali, sia anche un approccio più circostanziato, saranno oggetto del nostro contributo due mezzi espressivi utilizzati dall'architetto per lo svolgimento della sua attività: la fotografia e gli elaborati grafici.
Parlando di fotografia non possiamo non considerare, seppur marginalmente, il periodo storico in cui visse e operò Paolo Sironi. L'architetto, nato a circa vent'anni dalla famosa relazione con la quale lo scienziato François Arago presentava alla Francia e al mondo intero la rivoluzionaria invenzione fotografica di Daguerre,[18] poté contare, negli anni della sua attività come architetto e arredatore, su di un mezzo, quello fotografico, tecnico ed espressivo ormai abbastanza evoluto e diffuso da consentire l’utilizzo in modo, relativamente, economico e facilitato.[19]
I circa ottocento esemplari fotografici rinvenuti a seguito della ricognizione da noi effettuata sono infatti testimonianza da un lato, della “massificazione iconografica”[20] già implicita fin dalle origini nel procedimento fotografico e, dall'altro, dell'ampio utilizzo del nuovo mezzo di produzione iconografica fatto in una professione, quella dell'architetto, che tanto aveva a che fare con il visivo.
Pur non trascurando le diffidenze [21]che un mezzo ibrido, a metà tra arte e scienza, poteva suscitare anche in una figura di ampie vedute come quella di Sironi, non può non colpire la grande e diversificata presenza di oggetti fotografici presente nel corpus documentario oggetto del nostro intervento.
Se per far risaltare l'ampiezza non basta che riportare la consistenza numerica degli esemplari rilevata, per quanto riguarda la diversificazione tipologica, espressiva e di destinazione d'uso, sono necessarie alcune ulteriori considerazioni.
Quando si parla di fotografia, infatti, ci si riferisce ad un oggetto complesso, veicolo sia di un contenuto meramente iconografico, ma anche di informazioni relative ai suoi modi di produzione, fisici e concettuali, e alle sue finalità.
Dal punto di vista della produzione fisica, il consistente nucleo di materiale fotografico presente nell'archivio di Paolo Sironi, si mostra legato agli anni della sua produzione, che possiamo collocare appunto tra la fine dell'Ottocento e i primi tre decenni del Novecento. I fototipi di cui si costituisce, tutte stampe positive in bianco e nero, sono infatti aristotipi, albumine e gelatine bromuro d'argento su carta (talvolta montate su cartoncini di supporto, talvolta prive), ovvero le più diffuse tecniche di stampa fotografica del tempo.
Seppure non sia scontata in un complesso documentario, una varietà tipologica simile, non è questo a rendere peculiare ed emblematica la raccolta di fotografie dell'architetto, quanto più la diversità del contenuto iconografico, la conseguente modalità stilistica, espressiva e concettuale ed, infine, il loro utilizzo.
Le fotografie oggetto di riordino e descrizione, infatti, rappresentano e presentano diversi soggetti; sono ad opera di studi fotografici specializzati e frutto di una produzione amatoriale; sono destinate a veicolare immagini persuasive a scopo commerciale e sono chiamate a documentare le diverse fasi di un progetto o destinate a diventare serbatoio iconografico personale.
Confluiscono nel nucleo dei materiali fotografici le stampe commissionate agli studi fotografici da Paolo Sironi, per pubblicizzare e diffondere, a guisa di catalogo, la produzione della milanese “Tappezzeria-ebanisteria Sironi” o le costruzioni ideate con la ditta bolognese “Edilizia moderna”; le fotografie raccolte ed acquistate dall'architetto provenienti da altre ditte o raffiguranti elementi architettonici, edifici, opere d'arte e riproduzioni di vario tipo, capaci di diventare per lui, in sinergia con tavole, ritagli di giornale e schizzi, un serbatoio iconografico inesauribile dal quale attingere per l'elaborazione dei suoi progetti, delle sue decorazioni, dei suoi manufatti. Abbiamo infine le fotografie eseguite dallo stesso Sironi, molteplici prelievi della realtà architettonica ed artistica che lo circonda, una sorta di safari fotografico, capace di arricchire la sua fantasia di nuovi motivi e temi, cui si unisce un uso del mezzo fotografico come strumento di documentazione e registrazione delle diverse fasi esecutive dei suoi lavori, dal sopralluogo al lotto di terreno acquistato alla veduta del villino realizzato su di esso.
Esemplare e di notevole efficacia risulta la suddivisione per luoghi o sede dei progetti introdotta dalla Cirifalco nel suo approccio agli elaborati grafici dell’archivio Sironi. Imbattendosi nel riordino di disegni privi o quasi di una denominazione, ha tentato di individuare punti di contatto con quanto conosciuto sulle opere realizzate dall’architetto, per rendere certa l’identificazione del singolo disegno e la successiva attribuzione ad un determinato progetto. In questo modo, è riuscita a riconoscere 17 sezioni, denotate da numeri romani, nelle quali ha proceduto nella schedatura dei materiali grafici, specificandone la descrizione,[22] la scala, le dimensioni, il materiale[23] e la tecnica grafica. Ha riservato le sezioni XII-XVI ai disegni “senza luogo” e la XVII a quegli elaborati privi di una attribuzione certa. Viene inoltre riservata una sezione agli “schizzi”, ovvero ai disegni liberi, aventi per soggetto motivi ornamentali o particolari architettonici, dei quali è stato indicato il numero ed il supporto su cui sono stati realizzati.[24]
Incentrando l’attenzione sugli elaborati grafici riconducibili al lavoro di progetto, si possono individuare circa 150 disegni in originale, delineati su carta o lucido, con matita, inchiostro o acquerello (alcuni montati su cartoncino). Le tecniche di esecuzione del disegno di architettura sono in molti casi comuni ad altri campi dell’arte, come per esempio l’acquerello, la tempera, così come i supporti cartacei che spaziano entro una gamma di tipi assai vasta. La carta da lucido è la più utilizzata nel disegno tecnico perché permette la riproduzione degli elaborati; è semitrasparente ed è preparata con una pasta di stracci fine e omogenea lavorata a lungo, alla quale viene aggiunto sapone, acido di resina, colla e paraffina o ceresina. Un tipo di carta da lucido, detta comunemente carta da sottolucido o da spolvero, più leggera e meno trasparente, viene adoperata per schizzi e disegni a matita preparatori che, tramite il ridisegno per trasparenza, possono essere copiati in veste definitiva su lucido pesante.
Nel novero di questi disegni, per la maggior parte originali, si individuano due cianografie, ovvero due negativi su carta, caratterizzati dai tratti bianchi del disegno su fondo blu. La cianotipia è una tecnica di riproduzione collocabile in un arco cronologico compreso tra il 1842 e il 1950 circa, messa a punto da John Herschel, avvalendosi di un procedimento che impiega le proprietà fotosensibili di una nuova sostanza.[25] La riproducibilità diventerà infatti un’esigenza tecnica fondamentale, motivata dalla modalità di produzione dei diversi elaborati del progetto, dalle procedure amministrative e dalle regole di esecuzione dell’opera in esso prefigurata.[26]
La figura di Paolo Sironi si introduce con le sue opere all’interno del disegno di architettura, appartenendo, tuttavia, ancora ad una pratica operativa ottecentesca, dove vige l’amore per il decorativismo, per i particolari e grazie al quale le forme liberty incorniciano ogni singolo elemento dell’iter creativo dell’artista. Le stesse tecniche e i supporti utilizzati lo assimilano ad una certa idea di “artigianato”, che sta per cedere completamente il campo alle nuove forme progettuali dell’architettura contemporanea, che vedranno la progressiva sostituzione della manualità degli elaborati grafici con le più moderne produzioni informatiche, quali i rendering e modelli tridimensionali di presentazione.
Francesca Cecchi e Marta Magrinelli, archiviste incaricate dell'ordinamento archivistico
Note
[1] «Il primario obiettivo del CIRI “Edilizia e Costruzioni” è quello di fornire una risposta articolata alla domanda di integrazione tra le istanze del mondo dell’impresa e della produzione e quello della ricerca, fornendo il supporto scientifico e tecnico per promuovere l’innovazione nel settore delle costruzioni, dell’edilizia e del patrimonio costruito, compreso quello a valenza storico-artistica», in http://www.edilizia-costruzioni.unibo.it/ciri-edilizia-e-costruzioni. «L'unità operativa si occupa dello sviluppo di protocolli operativi di intervento sul patrimonio architettonico, archeologico e storico-artistico e della messa a punto di metodologie per la valutazione prestazionale del costruito con specifica attenzione per la caratterizzazione tipologico-costruttiva, energetica e di sicurezza strutturale», in http://www.edilizia-costruzioni.unibo.it/ciri-edilizia-e-costruzioni/le-unita-operative.
[2] «L'unità operativa si occupa dello sviluppo di protocolli operativi di intervento sul patrimonio architettonico, archeologico e storico-artistico e della messa a punto di metodologie per la valutazione prestazionale del costruito con specifica attenzione per la caratterizzazione tipologico-costruttiva, energetica e di sicurezza strutturale», in http://www.edilizia-costruzioni.unibo.it/ciri-edilizia-e-costruzioni/le-unita-operative.
[3] Cfr. Allegato 2 – Programmi di attività di ricerca industriale e trasferimento tecnologico dei CIRI, referente scientifico, prof. Riccardo Gulli.
[4] § 1.6 del programma in esame: «Obiettivo della ricerca è lo sviluppo di un protocollo di indagine speditiva tramite un software di gestione dati, che a partire dall’acquisizione di una base informativa essenziale riguardante i dati anagrafici, tipologici e costruttivi dell’edificio consenta di formulare una valutazione del livello di sicurezza strutturale in ambito sismico e di prestazione energetica».
[5] Cfr. programma PR1: Metodologie speditive per la valutazione prestazionale del costruito storico, coordinamento di progetto, prof. Giovanni Mochi.
[6] J. Le Goff, Storia e memoria, Einaudi, Torino 1982, in particolare il capitolo: «Documento/monumento», pp. 443-456.
[7] Risulta quanto mai esemplare come Marc Bloch – nella sua “genealogica” opera: Apologia della storia o Mestiere dello storico, Einaudi, Torino 2009 – impieghi non metaforicamente un rimando all’operato costruttivo come fondante della stessa interpretazione storiografica: «La varietà delle testimonianze storiche è pressoché infinita. Tutto ciò che l’uomo dice o scrive, tutto ciò che costruisce [la sottolineatura è mia], tutto ciò che sfiora, può e deve fornire informazioni su di lui», p. 52 (e quindi su quella complessa “geo-storia” che ne caratterizza il suo fondante ruolo sociale di creatore-produttore; cfr. H. Arendt, Vita activa. La condizione umana (ed. or., Chicago 1958), Bompiani, Milano 1994, cap. IV.18. «Il carattere durevole del mondo», pp. 97-99; cfr. U. Galimberti, Psiche e techne. L’uomo nell’età della tecnica, Feltrinelli, Milano 1999, cap. 26, «La tecnica e la dialettica azione-riflessione», pp. 240-250).
[8] Una citazione riassuntiva merita il recente volume: Spigolature d’archivio. Contributi di archivistica e storia del progetto “Una città per gli archivi”, a cura di A. Antonelli, Bononia Universty Press, Bologna 2011.
[9] L’intervento di Giovanna Caniatti, della Soprintendenza Archivistica e Bibliografica dell’Emilia-Romagna, rendiconterà sulla specifica fisiologia degli archivi degli architetti-dell’architettura; il successivo intervento curato da Francesca Cecchi e Marta Magrinelli – ugualmente incaricate dalla Soprintendenza Archivista dell’Emilia-Romagna in tale azione –, presenterà l’interattiva articolazione della diagnostica multi supporto (dai repertori iconografici a quelli fotografici) che è stata attivata in proposito.
[10] Eccellente il modello di “museo virtuale”, con successo sperimentato dal Sistema Museale di Ateneo per il museo geologico “Giovanni Cappellini”, in http://www.sma.unibo.it/geologiapaleontologia/visitavirtuale.html, di UniBo.
[11] Norma e Arbitrio. Architetti e Ingegneri a Bologna 1850-1950, a cura di G. Gresleri e P.G. Massaretti, Venezia Marsilio, 2001. Si tratta del catalogo della mostra che si tenne nel maggio – settembre 2001 presso il Museo Archeologico di Bologna in occasione delle manifestazioni per Bologna, capitale europea della cultura.
[12] R. Cirifalco, Paolo Sironi: architetto fra ‘decorazione’ e tecnologia. Conoscenza e riordinamento dell’archivio, tesi di laurea in Storia dell’Architettura, Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Bologna, anno accademico 1999-2000, relatore Giuliano Gresleri, correlatori: A.C. Dell’Acqua, M.B. Bettazzi, P. Lipparini.
[13] Norma e arbitrio. Architetti e ingegneri a Bologna 1850-1950, catalogo della mostra (Bologna, Museo Civico Archeologico, 20 maggio-14 ottobre 2001), a cura di G. Gresleri, P. G. Massaretti, Venezia 2001.
[14] R. Cirifalco, Paolo Sironi architetto tra “decorazione” e tecnologia. Conoscenza e ordinamento dell’archivio, Tesi di laurea, Università di Bologna, Facoltà di Ingegneria, A.A. 1999/2000, relatore: prof. G. Gresleri, correlatori: dott. M.B. Bettazzi, ing. P. Lipparini.
[15] Norma e arbitrio… cit., p. 408; Archivi aggregati. La sezione di architettura e i fondi degli architetti moderni, a cura di M.B. Bettazzi, Bologna 2003, pp. 67-71.
[16] Il villino conti a villa San Michele. L'arte e la tecnica, a cura di M. Pipponzi, Quaderni della biblioteca n. 1, Montegranaro (FM), Biblioteca Comunale "Silvio Zavatti", 2011, p. 71.
[17] Non è un caso, forse, che negli ultimi anni della sua vita egli si dedichi alla pittura.
[18] F.D. Arago, relazione del 19 agosto 1839 all'Accademia delle scienze e delle Belle Arti che illustra i principi della dagherrotipia, in F.D. Arago, Il dagherrotipo, Roma, Amica, 1979, p. 63 (ed or. Paris 1858).
[19] Dagli anni Settanta dell'Ottocento, ad esempio, venne messa a punto una nuova tecnica, una soluzione di gelatina cui vengono addizionati dei sali d'argento sensibili alla luce. La cosiddetta emulsione, tuttora alla base della pratica fotografica, poteva venire stesa sul supporto e qui fatta essiccare. La maggiore stabilità, rispetto alle precedenti tecniche del collodio umido e del collodio secco, consentita dal nuovo procedimento, permetteva l'utilizzo dei materiali con essa preparati anche a distanza di qualche anno. I vantaggi pratici della nuova tecnica erano molti e andavano dalla possibilità di una produzione industriale e commercializzazione dei materiali (con conseguente abbattimento dei costi e maggior facilità di reperimento) a una maggiore sensibilità alla luce (tale da consentire di fotografare anche in condizioni di luce e abilità scarse). Ai progressi della chimica fotografica va aggiunto, negli stessi anni, anche un ridimensionamento dei formati sia delle apparecchiature che delle lastre negative, tale da renderne finalmente più agevole il trasporto e l'utilizzo. Nel giro di poco tempo la fotografia diviene alla portata di tutti e inizia, con la crisi della professione del fotografo di studio, la possibilità della sperimentazione anche del fotografo amatoriale, con conseguenti nuove idee, nuovi linguaggi e nuovi modi di intendere il fotografico. Cfr. I. Zannier, La massificazione della fotografia, in Fotografia italiana dell'Ottocento, Milano-Firenze, Alinari-Electa,1979, pp. 85-92.
[20] Ibidem.
[21] A seguito della scoperta e della diffusione della fotografia, velocemente quanto erano comparsi entusiasmo e curiosità, così hanno iniziato nello stesso modo a sollevarsi perplessità e dibattiti relativamente alla sua natura, nel tentativo di indagare e meglio identificare la nuova tecnica di rappresentazione. Investita dalle prime impressioni magiche, indirizzata poi verso un interesse per le sue valenze scientifiche, temuta infine per la presunta minaccia alle altre arti figurative, la fotografia ha sempre dovuto combattere per istituirsi come disciplina e per raggiungere dignità di mezzo espressivo ed estetico autonomo, eppure integrato al più ampio sistema dell'arte.
[22] La Cirifalco ha indicato il “titolo” dei diversi elaborati grafici con il termine “descrizione”.
[23] Il termine “materiale” è stato utilizzato per indicare il “supporto” dei disegni.
[24] Cirifalco, Paolo Sironi architetto… cit., pp. 78-79.
[25] Questo procedimento, denominato cianotipo, è basato sulla riduzione di Sali ferrici (citrato ferrico-ammonico, ferricianuro di potassio) a ferrosi. L’esposizione alla luce solare, per un breve tempo, di un foglio di carta impregnata e tenuta a contatto con l’originale, provoca una reazione fotosensibile e la riduzione dei sali in ferricianuro ferroso (di colore blu); dopo un lavaggio in acqua, le parti che nel disegno originale erano coperte da segni di matita o inchiostro risultano di colore bianco. Il procedimento è basato sul passaggio della luce attraverso l’originale al foglio di carta trattato; è quindi necessario che l’originale sia realizzato su carta traslucida. Cfr. R. Domenichini, A. Tonicello, Il disegno di architettura. Guida alla descrizione, Venezia, Verlag - il Poligrafo 2004, pp. 43-44.
[26] Ibidem, pp. 40-43.