Elementare Watson: scoperta la «pazza lettera» del 1877 e svelato il mistero del carteggio Piva-Carducci.
di Armando Antonelli e Riccardo Pedrini
Pubblicato il 10 giugno 2016
Nelle sala di consultazione dell’Archivio Storico della Province dei Frati Minori di Cristo Re di Bologna si sta sempre bene. Bella, luminosa, silenziosa al riparo dalla calura, e mai come in questo agosto non vi è stata necessità di azionare alcun tipo di marchingegno per rinfrescare e deumidificare l’aria. È stato sufficiente areare la sala spalancando le due alte finestre che incombono amichevolmente sul tavolo bianco, anch’esso gradevole e soprattutto comodo a disposizione degli utenti.
Unico motivo di lamentazione in quei giorni sono state le terribili zanzare tigre che una volta penetrate nella sala non davano requie a chi avesse avuto intenzione di dedicarsi allo studio di carte e manoscritti. Ma a quelle incursioni aeree è stato facile rimediare posizionando al di fuori dai grandi finestroni sul limes che separa l’esterno dalla sala una contraerea efficace. Gli zampironi hanno, infatti, costituito una difesa efficace, creando una cortina invalicabile da quegli diurni insetti volanti. Sì gli zampironi sono stati i migliori alleati in quei giorni in cui Riccardo Pedrini mise all’attenzione di Armando Antonelli un curiosissimo incartamento, tutto nuovo di zecca perché riemerso di recente tra le carte di un frate minore.
Tutto prese avvio dai loro soliti discorsi. Non si ricordano bene se stessero aggiustando l’introduzione all’edizione di un inedito di Riccardo Bacchelli da consegnare all’amico Emilio Pasquini per la Commissione dei testi di Lingua di Bologna. Una pièce teatrale salvata dalle fiamme dalla moglie di Bacchelli e recuperata dall’oblio a seguito dell’ordinamento delle carte dello scrittore bolognese conservate all’Archiginnasio di Bologna.
Un’altra intricata vicenda di carte e passione, su cui l’indagine già conclusa verrà presto alla luce, come quella di cui ricordano di avere parlato riguardante Francesco Zambrini, primo ad occuparsi di quella Commissione di Testi di lingua, di cui fu poi presidente Giosue Carducci.
Non è facile per quei due precisare meglio il ricordo perché furono molti i fili dipanatisi in quel giorno intorno alla figura di Carducci e agli archivi. Certo fu una giornata interamente dedicata al tema, poiché sono sicuri di avere parlato anche di un ciuffo di capelli reciso e conservato alla Famèja Bulgnèisa e di tutti quegli oggetti quotidiani conservati dalla Fondazione del Monte che erano già stati pubblicati in una mostra virtuale sul portale archIVI.
Bene bene le cose non si sa come siano andate sta di fatto che quei due arrivarono a prendere in mano quel nuovo incartamento e a esaminarlo. Un carteggio scottante, vissuto pericolosamente, in gran parte distrutto o salvato da copie dattiloscritte, bruciato per orgoglio e sempre sul punto di scomparire interamente.
La storia complicata di quell’epistolario si arricchisce di un nuovo capitolo. I due si chiesero chi poté consultare quelle lettere prima della loro parziale distruzione, chi erano quelle fidate mani che si presero cura di ciò che si era salvato in copia e in originale di quel carteggio dopo la morte della moglie di Carducci, a chi furono affidate, chi si le fece affidare e perché e dove si trovano e dove oggi si conserva ciò che resta di quello scambio epistolare così a lungo tutelato.
Ecco ora quei due si ricordano. Tutto nacque a un certo punto, parlando delle carte conservate a Casa Lyda Borelli. Lì, nel portale, a denunciare tutta la sorpresa si trovava la pubblicazione dell’inventario di quelle carte, che altri avevano già provveduto a trascrivere e a interrogare.
Ma che idea se n’erano fatte? A che conclusioni erano giunte? Dovevano solo leggere attentamente quanto da altri era già stato scoperto e chiudere rapidamente il caso.
Quello che segue è pertanto il resoconto fedele di quella indagine esperita sulle conclusioni cui altri sono giunti e aggiungendovi del nuovo.
È il verbale di quanto accaduto, una cronaca dei fatti cui quei due sono in fine pervenuti al termine della loro ricerca dopo avere individuato spie, raccolto indizi, osservato le tracce percorse prima di loro. Si tratta del rapporto consegnato ai superiori, che siete voi.
E ora partiamo dall’interrogatorio. Il tono si fa più serio, la scrittura assume le caratteristiche tipiche di un linguaggio settoriale da saggio, per nulla romanzesco o dell’invenzione poliziesca.
Lo si anticipa sin da ora che dall’esame delle carte autografe della Piva e di Carducci conservate dall’Evangelisti è riemersa la «pazza lettera», di cui si sapeva l’esistenza ma che si riteneva perduta. La lettera fu scritta dalla Piva a Carducci nel 1877 e fu inviata al poeta da Rovigo.
Le carte personali di Anna Evangelisti si trovano presso l’archivio storico della Provincia di Cristo Re dei frati minori dell’Emilia Romagna, ubicato presso il convento di S. Antonio di Padova a Bologna. Anna Evangelisti (Senigallia, 1866 – Bologna, 1945) fu insegnante di liceo e coltivò la passione per lo studio della letteratura latina e italiana, della storia antica.[1]
Attività didattica e di ricerca sono copiosamente testimoniate dalla corrispondenza e da un consistente grumo di note, appunti e materiali di lavoro utilizzati a più riprese per l’elaborazione di alcuni saggi editi sino agli anni Quaranta del Novecento[2].
Il campo privilegiato di studio dell’Evangelisti fu la figura del proprio maestro, Giosue Carducci con cui l’Evangelisti discusse la tesi di laurea nel 1893. Tali ricerche confluirono in una raccolta organica stampata a Bologna nel 1934 con il titolo Giosue Carducci, 1835-1907: saggi storico-letterari per i tipi di Licinio Cappelli.
Tracce di quella iniziativa editoriale si trovano in alcuni fascicoli in cui sono contenuti incarti, appunti, note, materiali di lavoro, ritagli di stampa, carteggi con studiosi, bozze, minute e scartafacci, tra cui emerge un inserto[3] riguardante l’affaire in questione, contrassegnato da un titolo quanto mai rivelatore: «Corrispondenza tra Giosue Carducci e Carolina Cristofori Piva», cioè «La Lidia» carducciana.
L’incartamento fu utilizzato dall’Evangelisti prevalentemente per elaborare due saggi: Memorie carducciane[4] e Poeti e poetesse in ambiente carducciano del 1872[5].
L’esame delle carte, l’autopsia del loro contenuto ha consentito di dipanare diverse matasse e di recuperare la «pazza lettera» della Piva, che scampò alla distruzione quasi totale cui fu destinato a un mazzo non esiguo di lettere inviate a Carducci dalle sue amanti.
La lettera fu salvata dall’Evangelisti insieme a quelle poche conservate presso Casa Lyda Borelli, pubblicate da Francesca Florimbii e Lorenza Miretti.[6]
Nel 1977 Elvira Baldi Bevilacqua, nipote di Giosue Carducci, scriveva a riguardo del carteggio Piva-Carducci «furono donate dalla signora Tittì al suo consulente legale bolognese Lorenzo Ruggi, scrittore e uomo di teatro.
Ruggi lasciò in eredità questo carteggio alla casa di riposo degli artisti “L. Borelli”»[7]. Il testamento di Lorenzo Ruggi del 1973 disponeva che venisse lasciato «alla Casa di riposo Lyda Borelli per artisti drammatici l’epistolario della fu sig. Piva a Giosuè Carducci che ebbi in dono, a mia volta, dalla sig. Libertà Carducci, con piena libertà di usarne.
Tale epistolario è costituito da una serie di lettere della fu sig. Piva al Carducci, risposte a quelle del Poeta (che furono molto cercate, ma nessuno ebbe il possesso)».[8]
Il Ruggi era entrato in possesso dell’epistolario nel 1946. L’anno precedente scriveva all’amico Sabatino Lopez che le aveva «trovate e bloccate presso frati che le possedevano avute in dono da certa Evangelisti[9]». Il 31 dicembre 1946 l’avvocato bolognese indirizzava a padre Tarcisio Benvegnù, frate minore del convento di S. Antonio di Padova, una strana lettera:
Molto Reverendo Padre,
da tempo so di esserle in debito di una risposta e di una visita in dipendenza dell’epistolario Piva-Carducci e Piva-Panzacchi attualmente in possesso casuale, per Loro cortesia della Signora Carducci e da quest’ultima passata a me per decidere, dietro mio suggerimento, della questione di diritto, riguardante tale epistolario.Ella può essere certa e con Lei il Suo Padre Superiore, che le lettere sono al sicuro e sempre a disposizione Loro, risolta che sia l’elegante questione che si profila. Circa il diritto di proprietà di quei manoscritti.
Non vi è dubbio che Loro Padre, vennero in possesso di quelle lettere per effetto di un testamento della Signora Evangelisti, senonché sembra accertato, che la Signora Evangelisti era a sua volta nel possesso di quelle lettere, non già per averle avute in dono dalla legittima proprietaria d’allora Signora Elvira Carducci, ma per avere omesso di restituirle alla stessa che gliele aveva date esclusivamente in visione ed anzi con invito a neppure asportarle dalla Casa Carducci dove si trovavano. Questo è nel preciso ricordo anche della superstite figlia del Poeta Sig. Beatrice Carducci, ora residente in Fano che mi ha scritto in proposito. Inoltre è cosa certa che la Signora Elvira Carducci, in un dato momento, volle distrutte e distrusse, tutte le lettere della Signora Piva, ragion per cui è assurdo, oltre che escluso pensare, che la stessa Signora Carducci anteriormente, avesse potuto donare questi gelosi e a lei ingrati scritti, ad una persona estranea. Acconsentì alle sue preghiere per la lettura dell’epistolario, ma senza trasmettere men che meno, un diritto di proprietà sui manoscritti alla Signora Evangelisti. Trattasi insomma di un abuso di fiducia compiuto dalla defunta Signora Evangelisti, abuso dal quale non può nascere nessun diritto ereditario da parte di chi anche nominativamente fosse stato, come è del caso, istituito erede legatario per tali manoscritti.
Voglia Molto Reverendo Padre far presente quanto sopra ai Suoi Superiori affinché siano in grado alla loro volta di contrapporre alle ragioni esposte quelle che essi riterranno del caso.
La ringrazio dei suoi graditi auguri e li ricambio di cuore.
Avv. Lorenzo Ruggi[10]
Un documento che restituisce molte informazioni. Per l’avvocato era ovvio che se l’Evangelisti si era appropriata in modo abusivo del carteggio non aveva nessun diritto di donarlo ai religiosi di Sant’Antonio.
I frati a breve distanza di tempo stabilirono si consegnare il carteggio a Libertà Carducci che nel ricevere il plico lo descrive:
«42 lettere di Carolina Piva De Cristofari [sic] a Giosuè Carducci e n. 14 lettere di Enrico Panzacchi alla Piva a scopo di prenderne visione privata e personale con tutta segretezza, impegnandomi a non usare né a farne usare ad altri a scopo di pubblicazione, riservandosi tale diritto il convento Sant’Antonio che si trova in legittimo possesso delle suddette lettere.
Di esse è detto a tergo il numero delle pagine ed io mi impegno a restituirle integralmente»[11].
Apprendiamo che unito all’epistolario vi era un minuto fascio di lettere che la Piva aveva diretto a un altro celebre letterato bolognese, Enrico Panzacchi, con cui, prima di Carducci, aveva intrattenuto una relazione sentimentale.
Tentiamo a questo punto di mettere in ordine i dati in nostro possesso.
Anna Evangelisti muore l’11 dicembre 1945. Arguiamo che di lì a breve le carte della scrittrice, compreso l’epistolario “incriminato”, furono consegnate al convento di Sant’Antonio. Trascorse due settimane dal decesso, il 26 dicembre 1945, Lorenzo Ruggi informa Sabatino Lopez di avere mosso i primi passi per “bloccare” l’epistolario. Passati tre mesi, nel marzo del 1946, le lettere vengono dai religiosi poste all’attenzione di Libertà Carducci perché ne prenda visione. Trascorsi 9 mesi, a un anno dalla missiva inviata a padre Benvegnù, l’avvocato Ruggi è entrato in possesso del carteggio.
Miretti ipotizza che a Casa Lyda Borelli siano confluiti in due momenti distinti due distinti nuclei: il primo costituito di autografi annotati da Anna Evangelisti, donati da Libertà Carducci a Lorenzo Ruggi, il secondo formato da copie dattiloscritte degli autografi allestite dalla Evangelisti.
Secondo Miretti in questo gruppo di copie andrebbe individuato l’epistolario consegnato ai religiosi di Sant’Antonio nel dicembre del 1945 e recuperato da Ruggi nel dicembre dell’anno seguente.
Alla luce delle nuove scoperte documentarie va rivista forse questa tesi dal momento che le lettere autografe della Piva, le trascrizioni e le copie dattiloscritte delle lettere del Panzacchi pare costituissero un unico nucleo documentario raccolto dalla Evangelisti per motivi di studio, che lo mise insieme mentre formava un inserto sul tema presumibilmente tra il 1915[12] e il 1925, data della pubblicazione dell’articolo intitolato Poeti e poetesse nell’ambiente carducciano intorno al 1872[13].
L’inserto[14], composito, è costituito dal regesto di 42 lettere accompagnato da commenti decisamente negativi nei confronti della Piva[15], da ricordi fermati su carta degli incontri, avvenuti tra 1911 e 1913, con Elvira Menicucci, moglie di Carducci,[16] dalla trascrizione di due lettere di Maria Antonietta Torriani (artefice dell’incontro tra la Piva e il Carducci) a Carducci, dalla minuta di una lettera inviata a Albano Sorbelli nel 1927 circa il dono di «documenti carducciani» a Casa Carducci[17], da materiali di lavoro e da alcuni appunti di Domenico Gnoli riguardanti le relazioni intercorse tra Piva, Panzacchi e Carducci[18].
Per la nostra ricerca sono di grande aiuto i “verbali” degli incontri con Elvira Menicucci stilati dall’Evangelisti e diffusamente pubblicati per la prima volta nel contributo Memorie carducciane[19] e ripresi più volte nel saggio Poeti e poetesse nell’ambiente carducciano intorno al 1872[20]. La studiosa ricorda che:
Poiché si parlava di lettere venne a cader nel discorso la corrispondenza amorosa che ella teneva presso di sé per distruggerla. Me la fece vedere: in due cartoni e una cassetta c’erano le lettere di un trentennio scritte da varie signore; i nomi che conoscevo li trovai tutti, qualcuno per altro mi riuscì nuovo. […] e dopo una decina di giorni, tornando in città invitata a pranzo dalla signora Elvira, potei guardarle ancora.
Nelle vacanze dell’anno seguente, cioè del 1912, la signora Elvira, che con me non aveva mai potuto vedere Roma, desiderò di vedere Venezia e offrire questo divertimento alla sua Bice, che non c’era mai stata. […] ora le sorridevano le premure di mia sorella e di mio cognato, Gardi, che stavano a Venezia […].
Quando al Natale 1912 tornai da Roma a Bologna quelle lettere stavano per andare allora distrutte, e io potei vederle una terza volta con vantaggio immensamente superiore a quello di tutte due le prime, data la lunga incessante elaborazione che ne avevo fatto nel mio pensiero.
[…] Dopo il 1912 io l’avevo riveduta più volte avvantaggiando sempre il lavoro che tenevo in preparazione; ma quante altre cose importanti avrebbe saputo dirmi la signora Elvira, data la sua bella mente sempre schietta e vivace!
La sua perdita procedendo col tempo e col lavoro mi appariva sempre più grave; e la sentii gravissima allorché tutto il materiale raccolto io disposi in un primo schema a Bellagio nell’agosto del 1917[21].
Se sottoponiamo a verifica gli scartafacci manoscritti e il testo pubblicato è possibile, da un loro confronto, ricavare utili indicazioni per la nostra ricostruzione. I manoscritti dell’Evangelisti sono forieri di ulteriori dettagli sulla vicenda.
Tra le «note ai fogli di riassunto» ricostruiamo il primo incontro risalente al 26 agosto 1911, favorito da un biglietto in cui Elvira Carducci ringraziava l’Evangelisti per un suo scritto comparso sulla «Rivista di Roma», nel febbraio 1911.
Durante quell’incontro, Elvira «disse che a lei era stata consegnata la corrispondenza intima e c’erano anche le lettere di Giosue alla Piva, rimandate, mi pare, dal generale dopo la morte di lei», che l’Evangelisti poté vedere poiché raccolte in «due cartoni che portavano sulla costola un grosso C (Carolina) […] Era stata della Piva, che ci teneva dentro le lettere del Carducci e ora ci stavano alla rinfusa anche le lettere della Gargiolli e della Vivanti e di parecchie altre».
Durante la consultazione furono rinvenuti un ritratto della Piva e «una quindicina di lettere del Panzacchi alla Piva in data del 71 e 72». Elvira raccontò all’Evangelisti che «la Piva veniva a Bologna come amante di Panzacchi, il quale conosciuto che bestia era voleva liberarsene.
Lei cercò di attaccarsi al prof. Concato, cui domandò denari in prestito; Concato non la volle; allora diede l’assalto a Carducci e il merlo ci cascò; e lei dopo gli avrà dato le lettere di Panzacchi».
Il secondo di quegli appuntamenti avvenne il 5 settembre 1911, e in quella occasione Elvira donò all’Evangelisti una lettera del Carducci[22].
Nell’estate seguente, dal 14 al 22 agosto, Anna Evangelisti, Elvira Carducci e la figlia Beatrice trascorrono un periodo di vacanza a Venezia, insieme alla sorella dell’Evangelisti, Bianca, che le attendeva.
Alla fine di settembre, l’Evangelisti torna a Casa Carducci per continuare le sue ricerche insieme a Beatrice Carducci.
Durante le feste natalizie di quel 1912, «armata di carta e di lapis» l’Evangelisti tornò a trovare Elvira Carducci per farsi «dettare qualche data e qualche notizia», ma con grande sua sorpresa le furono sottoposte ancora una volta quelle lettere che pensava non esistessero più.
Elvira confermava che «prima che sia finito l’inverno saranno andate tutte ad accendere la stufa», di conseguenza, ricorda l’Evangelisti: «Io naturalmente non feci più lo sproposito di osservar tutto, mi limitai a prendere le lettere di Panzacchi che mi parevano interessantissime e poche lettere di ciascun anno della Piva; e sono quelle di cui, dopo averle studiate ben bene, ho riportato il riassunto».
Quegli episodi trovano una definitiva sistemazione in una nota del saggio Poeti e poetesse in ambiente carducciano:
Alla fine del 1912 io vidi ancora le lettere nei due cartoni e nella cassetta, ma già la signora Elvira le aveva destinate a finire quello stesso inverno nella stufa: a Pasqua poi del 1913 era passata ad altro uso quella cassetta dove, insieme con tante lettere meno antiche di varie signore, stavano le lettere di Giosue alla Lidia, rimandate, credo, dopo la morte di lei. Erano, per quanto ne vidi io, brevissime[23].
Rispetto a quanto scritto in Memorie carducciane in questa annotazione si accenna concretamente al tragico destino toccato in sorte al carteggio, bruciato da Elvira nell’inverno 1912-1913[24], ma ciò che più colpisce è il riferimento a certi “miei appunti fermati su alcune di quelle tante lettere viste già presso la signora Carducci”[25].
Alla luce di quanto rilevano Santucci[26] e Florimbii[27] circa gli interventi dell’Evangelisti sui dattiloscritti e sugli autografi superstiti, l’affermazione dell’Evangelisti potrebbe rimandare proprio alle note di lavoro vergate sul carteggio sopravvissuto, verosimilmente a disposizione della studiosa.
Ad ogni modo pare certo che l’Evangelisti consultò il carteggio un’ultima volta nel dicembre 1912 e che senza dubbio ebbe modo di trascriverne qualcuna dal momento che si era portata carta e penna.
Non è dato di sapere invece se in quell’occasione entrò in possesso di lettere, poi non restituite ad Elvira.
Oltre ai materiali di ricerca, si conservano alcuni autografi di Giosue Carducci e di Lina Cristofori Piva[28]. In particolare si tratta di tre lettere di Giosue Carducci, due indirizzate alla Piva e una alla moglie Elvira, di cui si conosceva l'esistenza grazie alle copie dattiloscritte dell’Evangelisti edite da Florimbii o alla pubblicazione avvenuta in occasione dell’Edizione Nazionale delle opere di Giosue Carducci[29].
Quegli autografi - di cui si ignorava l'esistenza - le cui copie dattiloscritte si conservano a Casa Lyda Borelli, furono donati alla Evangelisti da Elvira Carducci il 5 settembre 1911.
Fu in tale occasione che anche la «pazza lettera» della Piva a Carducci del 31 agosto 1877 entrò in possesso dell’Evangelisti.
Questo nucleo rimasto estraneo tanto a Libertà Carducci quanto a Lorenzo Ruggi fu prelevato e conservato in forma riservata da un frate tra le cui carte è stato recuperato di recente.
Proprio su questa lettera Elvira scrive: «Regalate ad Anna Evangelisti la presente lettera con un’altra di Giosue e tre altre della Piva. 5 settembre 1911. Elvira Carducci».
Nel plico oltre le quattro lettere sono conservate sei buste da lettera indirizzate a Enotrio Romano (cioè Giosue Carducci) da Lina Cristofori Piva: una busta è priva della data e del timbro postale, le altre recano tutte il timbro potale che le data al 7 novembre 1872 da Milano, al 23 e al 24 gennaio 1876 da Verona, al 7 agosto 1877 da Marignano Marittimo[30].
Infine si trova una busta da lettera inviata dal Carducci “alla gentildonna Lina Cristofori Piva” con timbro postale del 29 agosto 1878[31], contenente un foglietto che trasmette il regesto di quattro «lettere di Carducci dirette a Rovigo da Bologna[32]»:
29 ag. '78 – tre righe per aver sentito che non stavano bene
18 sett. '78 “Al Roma né pure si erano accorti dell'asciugamani asportato, lo potevi rimandare a tuo comodo. … Ti raccomando di disporti bene per il viaggio di Chieti. … E che il nostro delirio duri più che piace ai nostri nervi o allo stomaco o al sole o ai contatti umani”.
24 sett. 78. Ha ricevuto una lettera scritta da Gino, cui la madre teneva la mano. “il 5 ottobre forse andrò a Castelfranco; ma allora non sarebbe opportuno fermarmi a Rovigo ( vedrà d'andar prima) non ebbi alcun biglietto e non vedo da più sere la persona che doveva darmelo; è malato, un po' di studio un po' di testa, un po' di tasca, e allora si eclissa.
1 ott.bre 78. … A Castelfranco il 5 prossimo non potrò andare, che ho la casa piena di ospiti.
Di queste si è presente la lettera datata 18 settembre 1878, mentre delle altre non vi è traccia alcuna, anche se si trovavano in possesso della studiosa: «Tutte queste lettere sono brevissime; questa è la carta ch’egli usava, io ho staccato da una di queste lettere il mezzo foglietto bianco per scrivere questi appunti».
Ma questo è un altro mistero, è un’altra scomparsa.
La «pazza lettera» di Lina Cristofori Piva a Giosue Carducci, Rovigo, 31 agosto 1877[33].
Mio caro, non sono ancora abbastanza impazzita perché mi venga l’idea di scrivere all’E. Perché e di che le scriverei? Oh amor mio, anche la storiella dell’aborto, sorprende la buona fede di un poeta. Se ebbi mai voglia di ridere è questa volta. Io sono pratica di certe cose, lo sai, come un medico, come una mammana e assai di più. Che mi parli tu di aborto di due mesi e di feto morto da quindici giorni? Ma non sai che prima dei due mesi non c’è che una raccolta di sangue informe e non altro, che l’aborto a due mesi poi non è pericoloso da comprometter la vita? Oh frottole, frottole! Del resto, mio caro, dopo tanti anni che la E. non rimaneva incinta dato pur che ci rimanesse, se ella te lo tacque fu perché non pensava di esserlo e tanto meno ci pensava perché alla sua età una gravidanza è stranissimo caso: e fu appunto la pia età, non i dolori romantici che se mai cotesto strano caso fosse avvenuto, la fecero abortire: ciò concorderebbe anche co’ suoi passati mali di testa che un di fatto concepimento era cosa affatto irregolare. Il medico vuol’ anch’egli tentare tutti i mezzi per rimetterti sulla buona via e ammette e sostiene l’aborto e il gran pericolo.
Oh gran bontà dei cavalieri antiqui! Di certo tu ed io l’abbiamo ammazzata: lascia pur fare a lei. Se ella non lo dicesse a che tu mi preverresti che non le scrivesti? No, no, mio Caro; i commedianti mi annojano; figuratevi un feto di due mesi morto da 15 g(ior)ni! Ma io credo che c’è da far ridere un’idiota: ti scongiuro di credere che ciò non è, non può essere e che qui si tratta forse di una semplice emorragia che non è cosa straordinaria a 43 o 44 anni quando la donna può finire di esserlo. “Buona, buona!” Ma che buona d’Egitto! Perché vuoi che sia buona? Oh povero Giosuè, che avevo fatto il maschietto! La signora Osti ne sarà informata. Dio, Dio! Le garçon manqué. Che sciocchezze! morto prima d’esser vivo. E io che le scriva? Ma tu perdi la testa! Del resto chi sa mai di chi è cotesto bebè morto prima di vivere: tuo, no di certo or che ci penso: son tanti mesi oramai che la castità aleggia sul talamo maritale, che il co(n)nubio è posto sotto gli auspici di santa Elisabetta regina d’Ungheria e del santo Ladislao suo marito! Si guardan sempre e non si toccan mai.
Non temere, non temere: io non verrò a turbar la quiete dell’interessante puerpera: no, no! Non tutte sono forti come me da ricevere nel puerperio anche delle bastonate da orbi: oh che divina dolcezza, filer l’amour accanto a una dolente vittima a cui avete ucciso un bambino nel seno, un bambino di due mesi non vitale da quindici giorni e che non voleva uscire! Spiriti di Madame Robinet soccorretemi! Tante bestialità in una ci vuol’ una sola di medico, un ciarlatano, uno sfacciato per dirle! Oh dolce sposa morente di Francesco Tornabuoni non ti fa rider nel marmo la storiella di un bambino concepito senza opera d’uomo e che non vuol’ uscire perché a due mesi è vivo benché sia morto da 15 giorni! Oh che pazienza! Mio povero Giosuè, come ci vorrebbe poco a ingannarti. Io preferisco non farlo per dignità di me stessa ed ora poi per fuggire alla volgarità di un’imitazione. Di che quiete relativa mi parli? Che quiete relativa tolgo io all’interessante puerpera? E non vedi con che voluttà la giovanetta délaissée fa la vittima e quel che è cagione (se pur è) de’ suoi carnevali lo mette sul canto delle quaresime? Per altro c’è sempre rimedio. Appena che sia migliorata si riprova e si ottiene che il seme prezioso non cada disperso sulla terra. Il maschietto, il maschietto! Veggo di qua le scene conjugali, gli abbracci, le lagrime, le parole interrotte, i propositi nuovi, i perdoni e il dottor Verità rivestito da angelo che sorride in un canto e intesse corone di gigli: il circonciso inneggia al decadimento dell’arte greca. Oh miei gliconi! S’ode a destra uno squillo di tromba.[34] Viva il dottor Verità: facciamo amenda onorevole. A sinistra risponde uno squillo.
Oh! mio povero Giosuè, l’anima tua piangendo lagrime di tenerezza ti chiede pur un’eco delle tue gioje presenti con le migliori nuove che tu vorrai darle della tua diletta e di te, rassicurato dalla speranza che fra nove mesi il male sarà rimediato,
Ornamento ed splendor del secol nostro[35].
la grecque mourante
Imagino già che tu le avrai detta ogni cosa, chiaro e tondo quando ti bastava dichiarare che non sapevi né pur dove fossi.
Note
- [1] Per il profilo biografico cfr. S. Santucci, Lettere inedite di Carolina Cristofori Piva a Giosuè Carducci, in «Archivio del Nuovo», 10-11 (2002).
- [2] L’inventario è consultabile online all’indirizzo: http://cittadegliarchivi.it/pages/getDetail/idIUnit:1/archCode:ST0105
- [3] Bologna, Archivio della Provincia di Cristo Re dei frati minori dell’Emilia Romagna, Fondo Anna Evangelisti (da ora Fondo Anna Evangelisti), b. 4, fasc. 6.
- [4] A. Evangelisti, Giosue Carducci (1835-1907). Saggi storico letterari, Bologna, Cappelli, 1934, pp. 19-21.
- [5] Pubblicato nel 1925 sulla «Rassegna italiana» fu ristampato con il titolo Poeti e poetesse in ambiente carducciano, in Giosue Carducci, pp. 317-354.
- [6] Lidia a Giosue. Frammenti di un epistolario, a cura di F. Florimbii e L. Miretti, Bologna, Archetipolibri, 2010. Sull'epistolario cfr. S. Santucci, Lettere inedite, pp. 69-80, A. Brambilla, Il leone e la pantera. Frammenti di un ritratto amoroso, in Carducci e i miti della bellezza, a cura di M.A. Barzocchi e S. Santucci, Bologna, BUP, 2007, pp. 74-89, G. Davico Bonino, Il leone e la pantera. Lettere d’amore a Lidia (1872-1878), Roma, Salerno, 2010.
- [7] Lidia a Giosue, p. 23.
- [8] Ivi, p. 24.
- [9] Ivi, pp. 25-26.
- [10] Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7.
- [11] Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7; presumibilmente il documento è vergato da padre Tarcisio Benvegnù.
- [12] «Queste notizie io le ho fermate in certi miei fascicoli di Note e pensieri, scrivendole subito dopo una lunga visita che feci allo Stecchetti nell’estate del 1915», in Giosue Carducci, p. 321.
- [13] Poi pubblicato, con revisioni, in Giosue Carducci, pp. 315-354.
- [14] Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 6.
- [15] Su questo atteggiamento dell’Evangelisti cfr. Lidia a Giosue, pp. 9, 12-13, 29-30, 61-62.
- [16] Cfr. A. Evangelisti, La moglie del Carducci, in Giosue Carducci, pp. 10-18 e S. Santucci, Lettere inedite, p. 72;
- [17] Si tratta di «quattro gruppi di documenti carducciani; e cioè: copie di lettere di Carducci alla Gargiolli, documenti copiati in Casa Malvezzi, opuscolo con la lettera alla Bergamini, tre fotografie e una fototipia», in APMnBo, Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 6. Se ne dà notizia anche in Santucci, Lettere inedite, p. 80 e Lidia a Giosue, pp. 60-61.
- [18] Gli «appunti del conte Domenico Gnoli datimi da suo figlio Tomaso, quando gli resi gli altri riguardanti la morte di Dante Carducci. Essendo questi in copia, mi disse che li potevo tenere. Anna Evangelisti. Roma, 1923», in APMnBo, Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 6. Cfr. la voce sullo Gnoli curata nel 2001 da R. D’Anna per il Dizionario biografico degli italiani.
- [19] Evangelisti, Giosue Carducci, pp. 19-21.
- [20] Ivi, pp. 319, 321-322, 335-336, 340, 352.
- [21] Ivi, p. 21.
- [22] La lettera è identificata con quella inviata alla moglie Elvira il 9 maggio 1872, in Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7.
- [23] Evangelisti, Giosue Carducci, p. 322.
- [24] Nell’inserto l’Evangelisti verga due ulteriori e brevi note a proposito della sorte dell’epistolario: nella prima ricorda come «il 9 agosto del ’13 quando rividi la signora Elvira mi disse che aveva distrutto ogni cosa», nella seconda - un anno dopo la morte di Elvira Carducci avvenuta il 3 maggio 1915 - ricorda che «per le vacanze di Natale del 16 andai a trovare la Beppa [la domestica] e seppi che le lettere erano state bruciate davvero»”, in Fondo Anna Evangelisti, b. 4 , fasc. 6.
- [25] Evangelisti, Giosue Carducci, p. 322.
- [26] Santucci, Lettere inedite, p. 79.
- [27] Lidia a Giosue, pp. 60-61.
- [28] Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7.
- [29] Lettera di Giosue Carducci ad Anna Evangelisti, Bologna 16 ottobre 1898. Originale autografo conservato in Fondo Anna Evangelisti, b. 1, fasc. 7; una carta di colore bianco, ingiallito, mm. 210 x 133, inchiostro di colore nero, in Edizione Nazionale delle opere di Giosue Carducci. Lettere, Bologna, XX, Zanichelli, 1957, p. 179, nr. 5669; biglietto di Giosue Carducci ad Anna Evangelisti, Roma 1896 (?). Originale autografo conservato nel Fondo Anna Evangelisti, b. 1, fasc. 7; biglietto da visita con la scritta a stampa «Giosue Carducci», di colore giallo, mm. 70 x 92, scritto su entrambi i lati, inchiostro nero, in Edizione Nazionale, XIX, Bologna, Zanichelli, 1956, p. 264, nr. 5365. Del biglietto si dice che l’autografo è conservato «presso la famiglia Evangelisti» in ivi, p. 313; Lettera di Giosue Carducci a Elvira Carducci, Milano, 9 maggio 1872. Originale autografo in Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7; bifoglio di colore bianco, ingiallito, mm. 226 x 140, inchiostro di colore nero, in Lidia a Giosue, pp. 423-424; Lettera di Giosue Carducci a Lina Cristofori Piva, Bologna, 18 settembre 1878 . Originale autografo in Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7; bifoglio di colore azzurro, mm. 135 x 105, inchiostro di colore nero, in Lidia a Giosue, p. 422; Lettera di Giosue Carducci a Lina Cristofori Piva, ottobre 1874. Originale autografo in Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7; bifoglio di colore bianco, ingiallito, mm, 211 x 132, inchiostro di colore nero, in Lidia a Giosue, pp. 425-426.
- [30] Sulla busta con timbro postale 7 agosto 1877 Anna Evangelisti annota «Contiene diverse buste, in cui erano state lettere di Giosue alla Piva; cui segue un'altra annotazione, presumibilmente di padre T. Benvegnù: “V’è una lettera alla Piva, del Carducci, assai importante”».
- [31] Non sembrerebbe esservi corrispondenza con le lettere conservate presso Casa Lyda Borelli ed è presumibile che le lettere in questione contenute in passato nelle buste siano altre.
- [32] Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7.
- [33] Dall’originale autografo conservato a Bologna presso l’Archivio della Provincia di Cristo Re dei frati minori dell’Emilia Romagna, Fondo Anna Evangelisti, b. 4, fasc. 7; un bifoglio e una carta di colore bianco, ingiallito, di mm. 210 x 135. Inchiostro di colore bleu. Su c. 3v: “Regalate ad Anna Evangelisti la presente lettera con un’altra di Giosue e tre altre della Piva. 5 sett. 1911”. Segue la firma autografa di Elvira Carducci. Della lettera fa cenno l’Evangelisti, in Lidia a Giosue, p. 193, dove la definisce «la pazza lettera». Si conserva anche la busta di mm. 110 x 145, con timbri postali «Rovigo. 31 ago 77. 2 S» e «Bologna. 31 8 – 77. 6 S». Appartiene a Lina Cristofori Piva l’annotazione dell’indirizzo «Ferma in posta. Enotrio Romano. Bologna». Appartengono ad Anna Evangelisti le annotazioni, a lapis, «31 agosto 1877» e «Lettera della Piva con autentica del dono fattomi dalla sig.a Elvira».
- [34] Alessandro Manzoni, Conte di Carmagnola, la battaglia di Maclodia.
- [35] LudovicoAriosto, Orlando Furioso, I, 3, 2.